21- Strategie

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I due ragazzi fecero il loro ingresso trionfale al forte. Belli e fieri nelle loro divise da cadetti varcarono il portone come se ci fosse una delegazione ad aspettarli, con tanto di fiori e orchestra. Invece c'era solo Sabrina che, vedendoli arrivare, cominciò a correre in maniera poco elegante tirando su in qualche modo i cerchi della crinolina per non inciampare. Qualcosa non funzionò e la ragazza ruzzolò a terra davanti ai loro piedi.

I due si scambiarono un'occhiata cercando di trattenere le risa. Suo padre poteva anche farla vestire come una signorina, ma quella non lo era affatto.

Robert le tese una mano e l'aiutò a rialzarsi, mentre la ragazza borbottava tra sé e sé cercando di liberare la scarpa che si era infilata tra i cerchi e impigliata nelle varie sottogonne. Appena fu in piedi, non gli diede nemmeno il tempo di parlare che gli gettò le braccia al collo con foga, stringendolo in un modo che al ragazzo sembrò quasi disperato. Ricambiò tenendola stretta, non sapeva che altro fare: non c'erano parole adatte da dire. Poco a poco riuscì a liberarsi da quell'abbraccio e la guardò, tenendola davanti a sé.

«Come sei cresciuta, Sabrina!»

La ragazza arrossì di piacere, poi volse la sua attenzione a Jonathan aspettandosi lo stesso calore, ma il ragazzo stava osservando qualcosa all'altezza delle sue ginocchia.

«Ti sei strappata il vestito...»

«Un caro saluto anche a te, Jonathan» gli rispose stizzita.

«Come sei permalosa!» ribatté sulla difensiva, alzando gli occhi a incontrare lo sguardo offeso della sorella.

«Jonathan, Robert!» Il capitano si stava avvicinando a grandi passi, con un sorriso fiero stampato in volto.

«Giusto per informazione: tu non mi sei mancato per nulla!» sussurrò la ragazza e se ne andò con passo spedito verso la sua camera.

Jonathan era interdetto: avrebbe voluto correrle dietro e risponderle per le rime, ma l'abbraccio del padre l'aveva già avvolto.

«Cari ragazzi miei, come sono fiero di voi! Vi state comportando bene in accademia, ma ne ero certo.»

I due si scambiarono un'occhiata d'intesa e sfoderarono il loro miglior sorriso di circostanza. Sentivano di non meritarsi davvero tutte quelle lodi, ma erano sollevati all'idea di averla fatta franca.

«Su, andate a sistemarvi che fra poco si cena: parleremo a tavola.»

I ragazzi raccolsero il bagaglio e si avviarono alla loro stanza, con un'espressione soddisfatta ancora stampata sul volto. Appena furono al riparo all'interno scoppiarono a ridere, complici.

Sabrina sollevò appena lo sguardo dalla gonna che stava cercando di riparare e sbuffò.

«Cosa ci sarà di tanto divertente, io non capisco.»

«Dai, sorellina, vieni a darmi un bacio» la invitò Jonathan.

«Preferirei baciare un rospo» ribatté, continuando a cucire.

«Come sei stizzosa... dopo tutti questi mesi non mi merito nemmeno un salutino?»

La ragazza non rispose, ma Jonathan le fu vicino in un lampo e la mise in piedi, sollevandola di peso.

«Ehi! Lasciami!»

«E dai...» le disse tenendola stretta e porgendole una guancia.

«Sei proprio insopportabile: il solito prepotente!» Il ragazzo si limitò a stringerla un po' di più.

«E va bene...» Si arrese e gli diede un fugace bacio sulla guancia.

«Onorato» le rispose, lasciando la presa e accennando un inchino.

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