69- Pettegolezzi

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Rientrarono al forte nel primo pomeriggio. Non si erano affrettati a tornare: avevano indugiato sulle rive del Missouri, sonnecchiando abbastanza a lungo da recuperare un colorito normale.

Sfilarono tra i vari soldati in pausa per dirigersi al loro alloggio senza accorgersi dello sguardo penetrante del padre, che li studiava mentre parlottava con altri ufficiali nella piazza d'armi. Potevano anche aver recuperato un aspetto più sano, ma il maggiore sapeva che avevano trascorso la notte fuori e strinse appena le labbra osservando le loro giubbe sgualcite.

La baracca era una semplice costruzione di legno con all'interno allineate diverse brande, qualche tavolino sparso, pioli alle pareti per appendere giacche e indumenti, un camino e rastrelliere per le armi, ma rispetto alla tenda in cui avevano alloggiato per tanti mesi sembrava un luogo di lusso. Jonathan si era appena buttato sul giaciglio mentre Robert frugava nella sua borsa da viaggio tirandone fuori l'occorrente per radersi, quando il padre entrò nell'alloggio facendo scattare sull'attenti due ufficiali. Si diresse deciso verso i suoi figli, uno con rasoio e pennello in mano, l'altro che, vedendolo arrivare, si alzava con un certo sforzo dalla branda.

Robert non sapeva come comportarsi, il ricordo delle parole del giorno prima era ancora vivo, nonostante tutto il whisky bevuto per non pensarci, e d'istinto strinse più forte gli oggetti che teneva. Il guizzo non sfuggì allo sguardo attento del genitore: fissò le mani del figlio e poi i suoi occhi.

«Buongiorno, padre» intervenne Jonathan per spezzare la tensione.

Il genitore spostò immediatamente l'attenzione su di lui e sulla sua giubba aperta che mal celava una camicia macchiata. Sospirò.

«Non so dove siete stati ieri e non mi interessa» prese a dire.

«Siamo in licenza!» protestò Jonathan, vedendo che un fremito di rabbia scuoteva il fratello.

«Non interrompermi! So bene che siete in licenza, ma lo stesso sarebbe preferibile mantenere un certo contegno visto che siete degli ufficiali» lo riprese toccandogli la giubba e osservando meglio la macchia sulla camicia sottostante. Jonathan intuì che potesse essere il suo vomito e deglutì a fatica, sperando che non fosse così evidente.

«Stasera conto di vedervi prender posto alla tavola degli ufficiali, come di dovere. Puliti e sbarbati» concluse lanciando un'occhiata alle mani di Robert; e senza dar loro modo di ribattere se ne andò.

Jonathan si lasciò cadere seduto sulla branda, imprecando sottovoce. Possibile che il padre riuscisse sempre a coglierli in fallo?

«Non credo di reggere una cena ufficiale» sospirò Robert.

«Tu devi controllarti! Ho temuto per un attimo che stessi per tagliargli la gola con quel rasoio!» lo sgridò il fratello.

«Io. Mi. Controllo. Benissimo» scandì lui di rimando, ma una rabbia sorda stava per sopraffarlo.

Jonathan si alzò e lo prese per le spalle prima di guardarlo fisso negli occhi.

«Ti ho già spiegato che dobbiamo riconciliarci con lui, e non credere che per me sia più facile solo perché ho mantenuto la calma. Se perdona noi, forse - e dico forse - perdonerà anche Sabrina.»

«Come puoi esserne sicuro?»

«Non lo sono. Ma se non comincia con noi, di certo lei non ha nessuna possibilità.»

Robert sospirò così forte che la sua rabbia parve evaporare. Le parole del fratello contenevano una verità innegabile. Nella scala di valori del padre - e, doveva ammetterlo, anche nella sua prima di conoscere e apprezzare Sabrina - loro erano più in alto della sorella, la femmina, la cara donna di casa, apprezzata e rispettata solo quando rimaneva nei confini del focolare domestico e obbediente.

Polvere alla polvereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora