Capitolo ventitré

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Mugugno con la faccia completamente schiacciata contro il cuscino.  Mi giro su un fianco, una gragnola di brividi mi avvolge dalla testa ai piedi. La tristezza e la stanchezza gravano inesorabilmente sulle mie palpebre, rendendomi difficile il risveglio.

Ho i muscoli indolenziti e rattrappiti. Faccio adagiare la schiena contro il materasso e sospiro profondamente. Fisso il soffitto della mia stanza semibuia, avvolta da un’apatia che non mi appartiene.

Mi porto una mano sulla nuca e la massaggio dolcemente.

Non avrei dovuto addormentarmi con i capelli bagnati, soprattutto a dicembre, senza alcun riscaldamento acceso. Dio, mia nonna me lo ripeteva sempre! Bisogna sempre asciugare i capelli per non svegliarsi il giorno dopo con spiacevoli sorprese.

Mi metto seduta, ma la stanza gira intorno a me. Mi aggrappo con forza al bordo del letto e chiudo gli occhi. Le tempie pulsano senza tregua come un tamburo.

Maledizione, sto di merda!

Mi alzo in piedi e cammino rasente all’armadio finché non raggiungo la scrivania. Apro il cassetto ed estraggo il termometro. Mi siedo sulla sedia e misuro la mia temperatura, aspettando impazientemente.

Appena il termometro suona, mormoro: «Cazzo». Ho la febbre.

Magari è colpa di Kenneth.

Mi trascino pigramente in bagno e inizio a cercare tra i diversi medicinali, ma non ho né un antipiretico né alcun antidolorifico.

«Va bene, va bene. Andrò in farmacia», mi massaggio con delicatezza le tempie e ritorno nella mia stanza. Metto addosso le prime cose che trovo e tiro su il cappuccio della felpa, poi indosso il giubbotto. Prendo la borsa e il cellulare e vado fuori.

Mi appoggio alla carrozzeria della mia macchina e faccio un bel respiro prima di mettermi alla guida.

Il cellulare inizia a squillare. Sono tentata di gettarlo sui sedili posteriori e mettere il silenzioso, ma l’occhio mi scivola sul nome che appare sul display. È mia zia.

«Tutto bene?», è la prima cosa che chiedo. Salgo in auto e infilo le chiavi del blocchetto di accensione, evitando di guardarmi troppo nello specchietto retrovisore. Cavolo, ho un aspetto davvero orrendo.

«Ehi, Ken, sono io! La zia mi ha portato i libri che hai lasciato a casa di mamma. Ho già iniziato il secondo volume di Percy, volevo dirti grazie», esclama con enfasi e mi sforzo di sorridere, nonostante il mio cuore sia in fiamme e distrutto.

«In realtà te li ha regalati un amico», mi schiarisco la gola, cercando di camuffare il dispiacere nella mia voce.

«Oh, allora posso ringraziare lui?»

«Magari un’altra volta, Elliott», biascico con voce asfittica.

«Ti senti bene, Ken?»

«Sì, sto alla grande…», mi fermo e faccio un esile respiro. Davvero alla grande!

Mia cugina mi rende ancora la vita un inferno, a modo suo.

L’uomo di cui sono innamorata non vuole più vedermi.

La mia migliore amica è arrabbiata con me ed è sparita.

Mia madre mi odia.

Sono rimasta senza lavoro.

Ho la febbre e mi sembra di impazzire.

Mi sento sola e impotente.

Ho fatto una stronzata che mi rende difficile l’esistenza. Vivo con i sensi di colpa e piango almeno due volte al giorno. Ma sì, sto benissimo.

Boyfriend- Un ragazzo in prestitoWhere stories live. Discover now