Capitolo ventidue

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Quando riapro gli occhi, la luce del sole invade violentemente la stanza. Mi porto la mano davanti al viso e provo ad alzarmi, facendo cadere la bottiglia vuota sul pavimento.

«Oh, Dio», gracchio, portandomi la mano sulle tempie. Apro il cassetto e prendo un antidolorifico. Non dovrei bere più.

Guardo l’ora sulla radiosveglia.
«Merda», un mugolio stremato abbandona le mie labbra. «Devo darmi una ripulita», mi brucia la gola, mi fa male la testa e vorrei continuare a dormire, ma devo per forza recarmi al lavoro.

Apro l’armadio e agguanto una tuta sportiva, prendo l’intimo pulito e vado in bagno.
L’acqua non fa di certo miracoli dopo aver ricevuto notizie di merda, dopo essermi scolata una bottiglia di vino ed essermi ritrovata con il cuore spezzato, ma meglio profumata che puzzare come un topo morto.

Asciugo i capelli e li lascio sciolti, dopodiché prendo gli anfibi e il giubbotto, gli occhiali da sole e mi dirigo verso la porta.
Una volta giù, sto per aprire la portiera, ma vedo Arnold raggiungere il cancello con un sacchetto di carta tra le mani.

«Arnold», lo saluto sventolando in aria una mano. Corro verso di lui e con poca grazia gli do un forte abbraccio.

«Ma chi si rivede», dice ridendo. Faccio un passo indietro e sorrido mentre lui apre il sacchetto e tira fuori una ciambella ricoperta di glassa rosa.

«Mangia, mi stavano per cadere i peli del naso non appena ho sentito il tuo alito», mi prende in giro con la solita delicatezza. «Deduco tu abbia bevuto ieri sera, quindi mangia.»

«Sei sempre troppo gentile», sussurro con un nodo alla gola.

«E tu avresti bisogno di andartene da qualche parte, sei sempre triste.»

Si allontana con aria indifferente e abbasso lo sguardo delusa.
«Ehi, rompiscatole», mi chiama. «Bevi tanta acqua, va bene? Attenta a non disidratarti.»

Annuisco e rimando indietro le lacrime. So che sembra stupido, ma perfino una frase semplice come “bevi tanta acqua” mi rende felice. Significa che si preoccupa per me. E vista la mia situazione, sono poche le persone a cui importa davvero qualcosa di me al momento.

Salgo in macchina, accendo il motore e faccio un bel respiro. Ce la posso fare.



Appena arrivo al lavoro mi ricordo di non aver dato le dimissioni per via telematica. Batto la fronte contro il volante, suono per sbaglio il clacson, mi spavento e poi urlo.

Non fa nulla! Ho tutto sotto controllo.
Nel frattempo vedrò ancora una volta la sua faccia da stronzo e gli fornirò una lettera scritta.

Metto il cappuccio e salgo le scale rapidamente, il portiere non fa nemmeno in tempo di darmi il buongiorno, che io ho già superato l’entrata. Sembro una ladra.
La segretaria si solleva gli occhiali sul naso per fissarmi meglio. Un altro dipendente smette di stampare e un’altra donna rimane immobile a fissarmi.

Anzi, adesso tutti mi stanno fissando.
Con gli occhiali da sole ancora sul naso, mi dirigo a testa alta verso il mio ufficio e chiudo la porta con forza.
Mi siedo alla scrivania, prendo carta e penna e inizio a scrivere la lettera per dare le dimissioni.

Quando finisco, do un’ultima occhiata a questo posto e poi mi dirigo verso l’ufficio di Kenneth. «Dio dammi la forza e impediscimi di dare di matto. Devo essere clemente», sussurro mentre busso un paio di volte alla porta.

«Sono impegnato», dice.

Afferro la maniglia ed entro lo stesso, trovando Cody su una poltrona e Kenneth seduto dietro alla sua scrivania con una faccia cadaverica. Sembra che un tir gli sia passato di sopra di prima mattina.

«Kendra», si alza in piedi chiudendo il portatile e colpendo accidentalmente la bottiglietta d’acqua aperta, che in seguito cade e l’acqua si espande a macchia d’olio sulla scrivania. «Merda», impreca afferrando i tovaglioli e spostando velocemente il portatile e i documenti dall’altra parte. «Cazzo.»

«Demente. Sono una demente», bisbiglio avvertendo già l’urgente desiderio di fare marcia indietro.

No, no, no! Tu non molli proprio adesso, mi hai sentito?

Cody si porta una mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere e fa per alzarsi.
«No, rimani pure! È questione di massimo due minuti», sorrido stringendo il foglio tra le mani. Mi avvicino con una camminata decisa e poso con forza la lettera davanti ai suoi occhi, sulla scrivania.

«Ti ho chiamato un sacco di volte. Non hai risposto», sussurra non trovando nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo. Prende il foglio tra le mani e lo spiega lentamente, leggendone il contenuto. Le sue sopracciglia per poco non si congiungono. Riduce gli occhi a due fessure e mi guarda.

«Ti stai dimettendo?», nei suoi occhi vi aleggia una confusione mai vista prima.

«Sì e ti manderò anche l’email, così non mi romperai i coglioni con il tuo essere sempre scrupoloso.»

Cody scoppia a ridere e piega la testa in avanti per non farsi vedere.
Kenneth spalanca gli occhi, il foglio gli scivola dalle mani.

«Kendra, possiamo parlare?», fa il giro della scrivania e si avvicina a me. Allunga la mano verso la mia, ma la ritira subito dopo.

«Io ho già detto tutto. Prenderò le mie cose e tra massimo mezz’ora sarò fuori da questo posto del cazzo», sputo con rabbia.

Dio, ma non dovevi rendermi clemente?!

I miei occhi si posano involontariamente sulla penna rosa con gli unicorni nel suo portapenne. Se l’è ripresa? Un secondo, è entrato nel mio ufficio?!
Mi avvicino e la prendo.

«Che stai facendo?», domanda, guardando la mia mano. «Mi appartiene.»

«No, è mia.»

«Non più», ribatte con tono severo. «Avanti, ridammela.»

Emetto uno sbuffo. «Fai sul serio? È una dannata penna!»

«Non per me», allunga la mano e gliela poso sul palmo. La sua espressione ardente mi mette a disagio.

«Ne ho altre.»

«State litigando per una penna. La tensione sessuale è così alta qui…», Cody sventola una mano davanti al viso, alla ricerca di un po’ d’aria.

Boyfriend- Un ragazzo in prestitoWhere stories live. Discover now