Capitolo ventisette

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Kenneth puntella i gomiti sul bancone della cucina e solleva le ciglia lunghe, fissandomi dritto negli occhi. «Vieni con me», mi dice all'improvviso.

Un calore si estende a macchia d'olio al centro del mio petto.
Riluttante, gli do le spalle e mi prendo un secondo per riflettere.
«Non mi sembra un'ottima idea», rispondo accompagnando la frase con un sospiro pesante.

Sento lo sgabello strisciare sulle piastrelle e i suoi passi pesanti farsi più vicini.
La sua mano calda e grande si posa sulla mia spalla e io sollevo di scatto la testa.

«Perché no? Sei con me», mi prende il volto tra le mani e mi guarda con così tanta tenerezza che potrei sciogliermi.

«Perché so cosa penseranno gli altri di me», ammetto con una smorfia.

Lui accenna un sorriso delizioso, poi preme le labbra sulla mia fronte. «E a me da quando importa cosa pensano gli altri? Mi importa soltanto ciò che pensi tu».

La sua frase mi strappa un sorriso sincero. «Sai anche tu che non posso tornare con te in ufficio come se niente fosse».

Le sue sopracciglia si inarcano lentamente. «E questo lo decide... Chi?»

«È strano, Kenneth», sbuffo, distogliendo lo sguardo.

«Per me non lo è. Tenerti per mano davanti agli altri non è strano. Baciarti e dimostrarti davvero che ci tengo non è bizzarro. Non voglio nascondermi e non voglio darti questa impressione», mi dice cercando disperatamente di avere un contatto visivo con me.

Riporto lo sguardo su di lui e mi mordo il labbro. «Quello che hai fatto due giorni fa in aeroporto è stato-»

Lui sorride. «Incredibilmente bello? Pazzesco? Meraviglioso? Sbalorditivo? Sconcertante? Stupefacente? Entusiasmante?», accenna un mezzo sorriso malizioso e io gli colpisco il bicipite.

Lui simula una smorfia di dolore, facendomi ridere.

«Chiudi il dizionario di sinonimi e contrari che hai in testa, e cerca di essere ragionevole».

«Sissignora!», i suoi occhi si incatenano ai miei e sento il mio cuore sprofondare.

«Sono seria, Kenneth... Mi sembra sbagliato. Forse perché lo è», abbasso la testa, ma lui posa due dita sotto il mio mento e la risolleva.

«Lo è per chi?»

Mi stringo nelle spalle. «I tuoi dipendenti mi hanno vista andare via l'ultima volta. Mi guarderanno male».

Si lascia sfuggire una breve risata. «Li li licenzierò uno ad uno. Problema risolto. Altro?»

«Non puoi licenziarli soltanto perché mi guardano male», ribatto aggrottando le sopracciglia.

«Certo che posso! Qualche altro problema?»

«Kenneth, davvero, so quanto è difficile trovare un lavoro, quindi non ti permetterò di mandare quelle persone a casa soltanto perché inizieranno a borbottare non appena mi vedranno tornare in ufficio con te».

I suoi occhi si illuminano. «Quindi tornerai?»

«Non è ciò che ho detto».

«Invece sì. È ciò che hai detto. E per risponderti, so anche io quanto sia difficile, Kendra, ma se pensi che permetterò che i miei dipendenti pettegoli ti mettano a disagio e ti facciano venire voglia di nasconderti, allora forse non mi conosci abbastanza bene, altrimenti sapresti che non è un problema per me farlo. Ne ho licenziati alcuni per molto meno», mi accarezza dolcemente il volto e sento il mio stomaco contorcersi e un sorriso spontaneo baciarmi le labbra.

Boyfriend- Un ragazzo in prestitoWhere stories live. Discover now