Capitolo dieci

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Sono davvero poche le volte in cui la mia mente viene trasportata, in modo così efferato e intenso, verso il profondo e inevitabile disgusto per il mondo intero.

Ad osteggiare il mio pisolino pomeridiano è un clangore metallico proveniente dall'appartamento accanto al mio.

Maledetto Arnold! Che diamine sta facendo?

Anziché rimanere nella mia silenziosa e confortevole stanza ad almanaccare in maniera instancabile, decido di scendere dal letto e infilare i piedi nelle ciabatte, avvicinandomi poi al muro e appoggiando lentamente l'orecchio su di esso. Percepisco subito un brivido percorrere la mia schiena non appena la mia guancia entra in contatto con la freschezza della parete.

Un colpo di martello mi fa balzare all'indietro e la mia mano scatta velocemente sul petto.

«Ehi!», sbraito, battendo energicamente il pugno contro il muro. «Mi sente?», domando a voce alta, ma come risposta mi arriva un altro colpo, che per poco non mi fa urlare. Il suono è talmente forte, che Arnold sembra quasi intento a voler entrare nel mio appartamento.

Attendo pazientemente per circa una manciata di minuti, ma il mio vicino decide di ignorarmi. So che mi ha sentito. Qui si sente letteralmente tutto. Mi allontano piano e mi rimetto a letto, coprendomi fin sopra il naso e sospirando profondamente. Ha deciso di smettere finalmente?

Chiudo gli occhi, rilassando i muscoli e stringendo al petto l'altro cuscino, ma un altro colpo furioso distrugge definitivamente la mia quiete.

E un altro ancora.

Mi alzo come una furia e vado a bussare alla sua porta, cercando di arrestare, in qualche modo, la collera che sta vorticando al centro del mio petto come un uragano. Non intendo avviare un alterco tra noi due, quindi mi limito ad aspettare che lui apra la porta, possibilmente con garbo e non con la sua solita rozzezza.

Mi appoggio con la spalla al muro, un po' impaziente, e cerco di intercettare il suono dei suoi passi, quindi do un'occhiata veloce intorno a me, e poi appoggio l'orecchio sul legno freddo della sua porta.

Quest'ultima si spalanca di colpo e scivolo in avanti, facendo scontrare il mio mento contro il suo petto peloso. Mio dio, è senza maglietta!

Mi rimetto composta in men che non si dica, cercando di fare finta di niente, e mi schiarisco la gola, un po' a disagio. «Salve, Arnold!», saluto educatamente, e sul mio viso si manifesta un sorriso da statuetta.

«Che cosa vuoi, ragazza?», domanda con il suo solito tono burbero. I miei occhi scivolano lentamente verso il basso e osservo i pantaloni in flanella a quadri rossi e neri, abbastanza larghi, che indossa. Faccio l'errore di guardare anche i suoi piedi scalzi e trattengo la smorfia di disgusto.

«Lei sta facendo troppo casino e io non riesco a riposare», gli faccio presente. Il modo in cui mi guarda mi fa desiderare di ritirarmi lentamente nel mio appartamento e non uscire mai più. Quest'uomo a volte mi rende nervosa.

«E a me dovrebbe importare qualcosa?», alza un sopracciglio, ridendo di gusto. La sua pancia tonda oscilla ad ogni suo movimento.

«Be', se ha un minimo di rispetto per i suoi vicini, allora sì, dovrebbe importarle», mormoro, non riuscendo a guardarlo in faccia per più di qualche secondo.

«Sorpresa, allora!», esclama con un sorriso menefreghista. «Io ho da fare e non mi interessa niente del tuo riposino! Inoltre, sono le sei, chi diavolo dorme a quest'ora?», con un gesto brusco della mano fa per sbattermi la porta in faccia, ma blocco la sua azione e cerco di non lasciare che la mia solita risata da pazza senza controllo esca fuori.

«E invece lei farà silenzio, altrimenti chiamerò la polizia. Mi ha sentito?», minaccio, puntandogli il dito contro.

«Ma levati!», grida stizzito, dandomi definitivamente una spinta e chiudendo la porta con un tonfo. Rimango con la bocca spalancata ad aspettare per qualche minuto, sperando che mi apra nuovamente e mi porga le sue umili scuse per il modo grossolano in cui mi ha appena trattato. Ma no, ciò non accade. Sento nuovamente un'altra martellata contro il muro e, ormai del tutto rassegnata, decido di rientrare nel mio appartamento, chiudendo la porta con forza e gridando a pieni polmoni: «Mi hai rotto il cazzo!».

Boyfriend- Un ragazzo in prestitoWhere stories live. Discover now