28. You did not break me, I'm still fighting for peace

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Sia, Elastic Heart


 

Il crepitio del fuoco si fonde al rumore dei miei pensieri e il calore si adagia come un’ombra su di me penetrando sotto l’epidermide e diffondendosi come un virus in tutto il mio corpo.

Sono seduta davanti al focolare con le ginocchia strette al petto e il mento appoggiato su di esse.

La fiamma traballa incerta davanti ai miei occhi e sussurra cose che soltanto una mente malata come la mia potrebbe sentire.

Un pensiero. Una frase. Poche parole e la foschia avvolge la mia testa, come la punta di un grattacielo che non vedi più, ma sai che è lì, tra le nuvole.

“Toccami. So che ti manca sentire il calore che ti ricorda quella casa che non hai mai sentito tua davvero”.

Con un movimento lento e meccanico sfilo la garza avvolta intorno alle mie dita, la appallottolo e guardo per un paio di secondi il sangue raffermo su di essa, poi la lancio tra le fiamme come se mi stessi liberando di un pezzo di tizzone rovente, che è rimasto per troppo tempo appeso ad un filo dentro di me senza mai consumarsi, esattamente come l’odio che provo per lui.

Tieni, prenditi il mio sangue, prenditi il mio dolore, prenditi i miei segreti, gli dico.

La garza diventa un cumulo di cenere. Mi porto la mano sul petto, muovendola in una piccola carezza, come se la bambina dentro di me avesse bisogno di conforto. Ma non basta una carezza. Non basta un “Non ci pensare, fa parte del passato”. La bambina dentro di me è rimasta lì, come una scheggia nel mio stomaco, e si sta nutrendo di rabbia e di odio. Ha l’inferno negli occhi e le tenebre nell’anima. L’ingiustizia plasmata nel suo sguardo.

L’ho abbandonata. Anzi, l’hanno abbandonata.

«Ho avuto una giornata pesante, Nives. E tuo padre sta iniziando a darmi sui nervi. Si chiude nel mio studio per ore e solo Dio sa cosa diavolo combina davanti a quel computer».

«Mamma, dimmi la verità, non vi amate più?», domandai con una stretta al cuore.

«Non sono domande da fare! Tuo zio ti ha lasciato questa, comunque», mi passò la piccola scatola con motivi floreali, lanciandola quasi con rabbia.

«Mamma, non voglio più passare i pomeriggi con lo zio», la guardai con occhi supplichevoli, due voragini profonde nelle quali precipitavano tutti i miei sogni.

«E perché? Tuo zio si sta prendendo cura di te! Quello che dovrebbe fare anche tuo padre… Mostra un po’ di gratitudine almeno!».

«Ma papà non mi tocca quando suoniamo il pianoforte. Non fa come lo zio», pronunciai con voce spezzata.

«Sono stanca delle tue cazzate, Nives. I tuoi voti stanno precipitando e se non fosse stato grazie a tuo zio, che si è premurato di parlare con il preside, a quest’ora chissà che fine avresti fatto. Non rovinare la nostra reputazione, non sarai tu la pecora nera della famiglia. Non lo permetterò».

Il ricordo di quel giorno è rimasto indelebile nella mia testa come un tatuaggio.

Avevo ricevuto il mio primo costume da bagno a due pezzi.

Un costume rosa, stretto, di qualche taglia più piccolo, scelto da mio zio.

Sembrava il bikini di una Barbie addosso ad un peluche imbottito. Era così che voleva che io mi vedessi.

Ero enorme. Così enorme che mi chiedevo se fosse normale che lo slip mi stesse quasi tra i glutei e che il pezzo di sopra coprisse a stento quella piccola rotondità che a malapena si notava.

Il Mio Limite Sei TuWhere stories live. Discover now