1 - Giada

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Sono in ritardo. Come al solito. Lisa mi dice sempre che dovrei puntare l'orologio con almeno 15 minuti di ritardo in modo da arrivare puntuale agli appuntamenti. Lisa è la mia amica precisa e meticolosa, quella che se la vedi pensi abbia avuto tutto dalla vita: un bambino bello e sano, un marito che la ama e una carriera avviata verso il migliore dei futuri possibili. A volte, mi chiedo come faccia ad esserle così amica senza provare rancore. Ci conosciamo dalle elementari e paragonare le nostre vite è quasi inevitabile.  Eppure so perfettamente che anche le cose che luccicano di più possono nascondere qualche macchia.
Nonostante sia ormai aprile, l'aria è gelida e il vento mi soffia tra i capelli scuri e spettinati. Essere spettinata è una mia prerogativa. Pettinarmi mi sembra una perdita di tempo, un po' come stirare. Mi tiro su il cappuccio della felpa mentre frugo nella grossa borsa a sacca di finta pelle nera in cerca delle chiavi della macchina.
La terapia inizia tra 10 minuti e io mi trovo ancora dall'altra parte della città.

  ✨✨✨

Parcheggio la Smart bianca sulle strisce pedonali. Mi ero completamente dimenticata che di mercoledì ci fosse il mercato e il traffico congestionato mi ha fatto accumulare svariati minuti di ritardo, oltre al farmi esibire in epiteti poco lusinghieri verso gli altri conducenti.
Augurandomi di non prendere multe scendo velocemente dalla macchina e suono il campanello.
L'edificio è una vecchia palazzina di fine anni '60. Al secondo piano, dove vengo ricevuta, le stanze sono grandi e le pareti ricoperte di libri e fumetti. In fondo una cucina dove è possibile prepararsi il pranzo o un caffè per fare una pausa. Sembra più un'abitazione che una scuola di Psicoterapia.
Una ragazza con una stretta coda di cavallo e pantaloni a sigaretta color caramello mi si avvicina chiedendomi se abbia bisogno di un bicchiere d'acqua.
Scuoto la testa e non posso fare a meno di notare quanto sia curata. Sono anni che non mi prendo più cura di me in quel senso. Cinque per la precisione. Da quando è nato mio figlio e Andrea si è volatilizzato nell'etere in perfetto stile Houdini.
"Ho appuntamento con la dottoressa Giada. Mi chiamo Sam." dico sorridendo alla ragazza. "Sono in ritardo."
Ho appena finito di presentarmi che una giovane donna fa capolino dal corridoio retrostante. Ha morbidi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle che incorniciano uno sguardo dolce e accogliente ma anche molto attento.
"Ciao Sam."
"Ciao Giada. Ti chiedo scusa per il ritardo."
"Non preoccuparti. Stanza in fondo al corridoio a sinistra. Siediti dove vuoi. Arrivo subito."

Ci sono almeno due motivi per cui Giada è così gentile con me, nonostante l'evidente ritardo. Il primo è che non sono solo una sua paziente ma anche una studentessa della scuola al secondo anno e lei quando non è la mia terapeuta è la mia tutor didattica. L'altro motivo è  che io faccia 10 minuti di colloquio o i canonici 50, il suo compenso sarà sempre lo stesso. Capisco che un discorso del genere possa sembrare meschino e farla apparire priva di tatto. Eppure è uno dei cardini della Psicoterapia: l'impegno nell' intraprendere un percorso terapeutico parte anche dall'essere presenti e puntuali. Rispettare gli appuntamenti e gli orari è indice della nostra volontà di prendere le cose sul serio. Se non lo siamo, il terapeuta era comunque lì per noi. E nessuno lavora per la gloria. Il tempo costa denaro.

Mi dirigo nella stanza che mi è stata indicata e prendo posto sulla solita poltrona gialla e con la seduta un po' scavata: quella che dà le spalle alla porta, quasi in mezzo alla stanza. Giada si siederà sulla poltrona di fronte, davanti alla finestra. Dietro e di fianco a me ci sono due piccole librerie contenenti per lo più volumi di Psicologia e le pareti sono ricoperte di maschere di legno (un po' inquietanti per la verità) e qualche quadretto con frasi motivazionali della serie "Fai qualcosa che ami ogni giorno!". In fondo, una scrivania dove sono appoggiati fogli e penne sparse e qualche fascicolo.
Di effetti personali di chi qui dentro ci lavora neanche l'ombra: neppure una foto piccina picciò.
Nel frattempo che aspetto, scruto con lo sguardo la serie di libri dalle copertine colorate sulla genitorialità alle mie spalle.
Finalmente entra Giada.
Si siede sulla poltrona di fronte alla mia come previsto e poggia a terra una borsa di tela beige.
Mi guarda. Giada inizia le nostre sedute sempre in questo modo: con uno sguardo. Credo sia un modo per farmi sentire che da quando ci sediamo alla fine della nostra chiacchierata lei sarà lì per me. È una bella sensazione.
Possiamo cominciare.

The rainbow in my heartWhere stories live. Discover now