8 - Pizze e imprevisti

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Mi faccio trovare davanti alla scuola all'ora stabilita. Marco mi sta aspettando. Appena mi vede mi lancia un'occhiata carica di apprezzamento, ma non dice niente. Accidenti, penso tra me e me, deve essere proprio sconvolgente vedermi truccata e con un paio di jeans, senza la solita tuta.
Ci salutiamo con un fugace bacio sulla guancia e saliamo sulla sua auto, una BMW serie due argento.
Raggiungiamo il ristorante velocemente. È un locale ampio e accogliente che propone cucina partenopea. Tavoli di altezza normale si alternano a tavoli altezza bancone da bar con sgabelli come seduta. Al centro, il grande forno per le pizze e i cuochi pizzaioli che, con la loro divisa e cappelli bianchi e abili mani, impastano condiscono e infornano.
So già cosa ordinerò.
Ci accomodiamo ad un tavolo per due vicino all'entrata, io mi siedo rivolta alla porta d'ingresso.
"Per me pizza" dico, mentre sistemo la giacchetta di ecopelle sulla spalliera della sedia.
"E io ti seguo a ruota. È il piatto forte di questo posto," mi supporta Marco.
"Che ne dici se prima ci facciamo portare un po' di antipasto? Fanno dei panzarotti fritti che sono la fine del mondo."
Non sono tipa da farmi pregare quando si tratta di mangiare, quindi accetto senza riserve.
"Salve, volete ordinare?" una ragazza giovane in tenuta nera e con un grembiule bianco legato in vita, ci si presenta davanti con un piccolo monitor touch per le ordinazioni.
"Certo, siamo pronti," le sorride Marco "un antipasto della casa per due e poi, per me, una würstel e patatine."
Cosa? Una würstel e patatine? Sento gli angoli della bocca incresparsi in un sorriso un po' sfottente e, cercando di non mettermi a ridere, ordino una marinara con cornicione ripieno di ricotta. Probabilmente dopo cena non riuscirò a tenere i jeans allacciati, ma è un rischio che sono disposta a correre per una buona pizza.
"Prendimi pure in giro per la mia pizza!" mi sbeffeggia Marco quando la cameriera si è allontanata.
Il suo sguardo è ilare, così ribatto: "scusami, non mangio una würstel e patatine da quando avevo quattordici anni, credo. Ero pronta a sentirti ordinare una napoli o qualcosa del genere e invece..."
"L'importante è stupire," sentenzia poi, più serio, aggiunge "per me mangiare la pizza è un po' come tornare bambino ed è per questo che ordino spesso la mia pizza preferita dell'infanzia. Mi riporta a sensazioni e profumi che non provo da allora. Magari può sembrare sentimentale, ma lo trovo proustiano."
"È molto bello, invece" gli sorrido. E lo penso davvero.
Io non ho questo tipo di ricordi. Li tengo sopiti nei recessi più profondi della memoria. L'unica cosa che mi viene in mente quando penso ai pranzi e alle cene da bambina siamo io e mio fratello che mangiamo veloci e in silenzio, con un piede già pronto a scappare dalle inevitabili discussioni dei nostri genitori.
Marco si deve essere accorto del velo di malinconia sceso sui mie occhi.
"Tutto ok?" mi domanda premuroso.
Annuisco e richiudo a chiave quello spiacevole cassettino: voglio godermi la serata.
"Sono felice tu abbia accettato di uscire con me."
La sua voce si fa improvvisamente profonda e i suoi begli occhi nocciola sono pieni di desiderio.
"E io sono felice tu mi abbia invitata. È stata una piacevole sorpresa."
Avverto un leggero imbarazzo. Ci sono delle aspettative nel suo modo di porsi che non so se sono pronta a soddisfare.
O forse è solo educato e sto prendendo un abbaglio?
Sono un po' arrugginita in fatto di uomini.
In ogni caso, sono uscita per passare una serata piacevole e diversa dal solito. Non voglio lambiccarmi il cervello come faccio per qualsiasi cosa. Me la voglio gustare: quel che sarà sarà.
I nostri piatti iniziano ad arrivare ed è tutto davvero delizioso. E unto. Molto unto.
Chiacchieriamo di un po' di tutto: attualità, lavoro, progetti. Mi sbilancio un po' anche su Mattia. È facile parlare con Marco.
Sarà per il mestiere che ci accomuna ma sento di poter allentare un po' la corda. Che poi è un luogo comune che noi psicologi sappiamo ascoltare. O che abbiamo sempre voglia di farlo. Lo facciamo continuamente con i nostri pazienti ma, spesso, nella vita privata siamo dei veri e propri disastri.
Ho una mano posata sulla tovaglia color porpora, quando Marco vi posa sopra la sua.
"Sei bellissima, stasera" sussurra.
"Vedermi senza tuta deve essere uno shock" lo prendo in giro.
Questo è un altro dei miei meccanismi di difesa: quando non mi sento a mio agio, ci scherzo su.
Marco è bello. Intelligente. Trasmette sicurezza e presenza. Marco è qui per me.
Per questo resto in quel contatto. Non sposto la mano. Sarà quel che sarà.
Ma poi accada qualcosa che mi blocca. Un brivido percorre la mia schiena nonostante il maglioncino e il caldo nel locale.
La mano è ancora lì, immobile.
Quando me ne rendo conto, la sposto di scatto.
No. Questo proprio non me lo aspettavo.

Noah è appena entrato.
Non è solo: al suo fianco c'è una ragazza alta e bionda. Bellissima.
Si siedono ad un paio di tavoli di distanza dal nostro.
Marco continua a parlare ma io sono completamente assente, ho la testa come un palloncino pieno d'aria.
Non riesco a staccare lo sguardo da quei due. Sono un cane che fiuta l'osso.
Adesso capisco perché Noah non ha voluto il mio numero: non sono il suo tipo neanche lontanamente.
Mi dico che sono una stupida a rimanerci male.
L'unica cosa che abbiamo in comune io e questo ragazzo è una serata passata a chiacchierare sotto la pioggia.
Noah distoglie lo sguardo dalla bionda e lo sposta su di me.
È solo una frazione di secondo che già ha ripreso la sua conversazione: non mi degna del minimo cenno di riconoscimento.
"Ehi, Sam! Vogliamo andare?" Marco richiama la mia attenzione.
Mi sembra di riaffiorare da sottoterra.
✨✨✨
In auto, l'atmosfera non è armoniosa e chiacchiericcia come all'andata. Marco non è uno stupido e deve aver captato qualcosa.
"Chi era quello?" domanda confermando i miei dubbi.
"Quello chi?" fingo di cadere dalla nuvole.
"Dai, Sam. Non prendermi in giro. Ti ricordo che osservare le persone fa parte del nostro lavoro."
Maledetto linguaggio del corpo. E maledetta me: devo essere stata proprio palese.
"Nessuno..." non mi va di parlarne.
Di sicuro non con lui.
"Doveva essere un nessuno molto interessante visto come lo fissavi" insiste.
"Solo un tizio che ho conosciuto qualche sera fa" spiego alla fine "nessuno di importante."
"Eppure ti piace."
"Ci avrò parlato si e no un'ora con quel tipo" minimizzo.
"A volte un minuto è tutto ciò che serve. Puoi uscire a cena con un uomo che conosci e poi invaghirti di un perfetto estraneo. "
Colgo la frecciatina, ma non ribatto.
Perché è vero che questo Noah è un perfetto estraneo ma è altrettanto vero che, se rivederlo mi ha fatto questo effetto, forse Marco non è quello giusto. Non ho intenzione di prenderlo in giro.
Continuiamo a percorrere la strada che sembra interminabile.
Rimaniamo in silenzio, la radio al minimo tanto che non si capisce che canzone stiano passando.
Finalmente, arriviamo davanti a scuola.
"Mi dispiace" dico mestamente.
Vorrei dargli una spiegazione, ma Marco mi interrompe con un cenno della mano come per farmi tacere.
"Te l'ho già detto una volta: non hai bisogno di giustificarti con me. Non mi devi niente."
"Grazie per avermi offerto la cena."
Lui da' una scrollata di spalle.
Scendo: non c'è altro da aggiungere.

Nel tragitto verso casa, il pensiero va imperterrito a quell'uomo che conosco a malapena.

Al mio arrivo, Mattia dorme nella sua stanza.
"Ci è voluto un po', ma alla fine ce l'ho fatta" mi comunica orgogliosa mia mamma "tu hai passato una bella serata?"
Rispondo di sì e lei, soddisfatta, raduna le poche cose che si era portata per rientrare a casa.
"Mamma, secondo te è possibile infatuarsi di un perfetto sconosciuto?" le chiedo d'impulso quando è già sulla soglia.
"Sì, guarda me e tuo padre. Anche se, con il senno di poi, sarebbe stato meglio evitare. Perché me lo chiedi?"
"Niente di che, un discorso tra colleghi"
smorzo i suoi intenti indagatori "grazie per aver guardato Mattia."
"Quando vuoi, lo sai."
Le raccomando di scrivermi una volta arrivata a casa e ci diamo la buonanotte.

Salgo le scale e apro uno spiraglio nella porta della camera di Mattia per controllare che stia effettivamente dormendo. Dorme completamente coperto dal piumone da cui spunta solo qualche ciuffo di capelli biondi. Come faceva Andrea.
Mi spoglio dei jeans e torno nel mio amato pigiamone tanto criticato da Marylu perché "anti sesso": a quanto pare, il sesso non è compreso nel menù di questa serata.
È a questo punto che sento il cellulare vibrare nella borsa appoggiata sul letto.
Lo prendo e sullo schermo appare la notifica di un numero sconosciuto.

Visualizzo.
"Dovresti lasciare i capelli sciolti più spesso: incorniciano il tuo bel viso, Noah.
Ps: ti va un altro giro in città? Facciamo di giorno a questo giro."

The rainbow in my heartWhere stories live. Discover now