14 - Cornetti, intrecci e leitmotiv

62 14 29
                                    

Sto per rivedere Noah.

Sto per rivedere Noah e sono in trepidazione manco fossi un'adolescente.
Il che è assurdo visto che non sono più adolescente da un po' e, soprattutto, visto che si tratta di una semplice colazione.

Eppure è così che mi sento e non posso farci niente, non voglio farci niente.

Noah mi fa questo effetto. Nonostante ci siamo appena incontrati e non possa sapere se da questa conoscenza nascerà qualcosa: magari, tra un paio di mesi non ci parleremo nemmeno più.

Ma forse è vero che una persona, per entrarti nella pelle, non hai bisogno di conoscerla chissà da quanto tempo.

Ti può entrare nella pelle anche dopo cinque minuti, dopo uno sguardo, un sorriso storto.

Un po' spero che per Noah sia lo stesso.

Noah è appena entrato nel bar dove lo stavo aspettando, mi sorride lievemente:

«Buongiorno, Sam» mi saluta e si siede al tavolo che sto tenendo occupato, il solito di quando vengo qui a fare colazione.
«Buongiorno a te. Sarai distrutto.»
«Solo un pochino» ammette, anche se gli occhi cerchiati di viola dicono ben altro.

Pensavo che si sarebbe presentato in tenuta militare e, invece, ha trovato anche il tempo di cambiarsi e indossare abbigliamento civile: un paio di jeans e una felpa leggera con zip e cappuccio.

Glielo faccio notare.

«È la prima cosa che faccio: cambiarmi quando stacco» mi spiega «ho dei colleghi che in mimetica ci andrebbero persino a dormire. Penso che alcuni lo facciano, in effetti.»
«Addirittura?»

Mi sorride sornione: «Sai cosa si dice di noi paracadutisti, no? Che siamo degli esaltati.»
«Non mi sembra tu lo sia» replico.
«Mi auguro proprio di no. Amo il mio lavoro, ma mi piace ricordarmi che non sono solo quello.»

Nel frattempo, sono arrivati i cornetti (vuoto per me, alla nutella per lui) e i caffè macchiati.

Mangiare e parlare sembra essere diventato il leitmotiv dei nostri incontri.

«Posso chiederti cosa ti ha spinto a scegliere la vita militare?» inzuppo la punta del cornetto nel poco latte schiumato e, quando lo porto alla bocca, sento un po' di liquido caldo scendermi ai lati delle labbra.

La sensualità non è mai stata il mio forte. Sono la versione 2.0 della ragazza acqua e sapone, quella che va a fare la spesa vestita "da casa" e si appunta i capelli con mollettoni improponibili.

E non lo faccio perché mi sento bellissima e sicura di me. Mi sento esattamente il contrario di  così.

Ho capito che le maschere acqua e sapone funzionano meglio di quelle troppo truccate.
Coprono di più le mille insicurezze, i disagi, il non sentirsi abbastanza.
Coprono di più perché si fanno notare di meno.

Vedo Noah prendere un tovagliolo di carta e sporgersi verso di me.
«Ecco» mi tampona l'angolo della bocca.

Rimaniamo a fissarci negli occhi così, sospesi in quel gesto un po' intimo e infantile.

Poi Noah si riaccomoda sulla sedia e addenta il cornetto spezzando questa connessione e il tenue imbarazzo calato tra di noi:

«Non te lo so dire, di preciso, che cosa mi abbia spinto a questa scelta» riprende.
«Ho sempre avuto bisogno di stimoli nuovi per sentirmi in pace con me stesso. E sentivo la necessità di allontanarmi da casa: sono cresciuto in un piccolo paese della Calabria e, per quanto sia difficile ammetterlo, non ci sono solo pregiudizi dietro ciò che si dice del sud: c'è anche una parte di verità. È una terra difficile. Bellissima, fatta di persone accoglienti, ma difficile.»

The rainbow in my heartDove le storie prendono vita. Scoprilo ora