2. Fuga

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Naomi

"Il tempo è scaduto, la devo riaccompagnare fuori, signorina Zaytsev"
La voce della guardia interruppe la mia conversazione con Zemo, che subito smise di parlare; mi stava raccontando di cosa gli sarebbe piaciuto mangiare, al posto della minestra riscaldata che gli rifilavano tutti i giorni.
Sospirai, prima di alzarmi.
Avanzai e, come tutti i giorni, appoggiai la mano sul vetro, imitata dall'uomo davanti a me.
Gli mandai un bacio volante con la mano libera, e lo salutai, prima di voltarmi.
Iniziai a camminare lungo quel corridoio così famigliare, subito affiancata dalla guardia.
Mi girai a guardare l'uomo rimasto indietro, dove non si poteva muovere, con una pensiero diverso: non lo avrei rivisto la mattina seguente, ma fra un'ora.
Non avevo idea di come sarebbe uscito da lì e ammetto che ero tremendamente curiosa di saperlo.
La mia voglia di tempestarlo di domande era quasi più grande della voglia di riabbracciarlo.

Mi fermai al semaforo rosso, attendendo la luce verde, mentre canticchiavo una canzone che passava alla radio.
Posai lo sguardo sul sacchetto marroncino, posato sul sedile del passeggero, contenente patatine fritte e un panino. Un sorrisino si fece spazio sul mio viso, mentre pensavo alla reazione di Zemo quando si sarebbe trovato davanti una busta del McDonald's. Io ero tremendamente felice, anni prima, quando era lui a venirmi a prendere con lo stesso sacchetto, insieme a mia mamma, dopo la mia mattinata d'addestramento.
Chiusi gli occhi, e ripensai a quella sensazione, quando salivo in auto, dopo aver abbracciato mamma e battuto il cinque a Zemo.
Un clacson mi fece tornare alla realtà, e subito lasciai la frizione per permettere alla decappottabile di partire.
Il vento sferzava fra i miei capelli lunghi, scompigliandoli e tirandoli indietro. Svoltai a destra, conoscendo la strada per arrivare alla prigione a memoria.
Però, qualche metro più avanti, non mi fermai davanti all'edificio grigio, ma continuai ancora, fino a che individuai la scritta a neon verde del supermarket.
Entrai nella piazzola accanto: era vuota, i posti occupati erano solo due, tutti gli altri lasciavano spazio ad un parcheggio triste e quasi inquietante, con qualche albero spoglio e dei pali della luce.
Accarezzai il metallo freddo della pistola, fissata con lo scotch sotto al sedile, pronta ad ogni evenienza.
Guardai l'orologio che portavo al polso, vecchio regalo di mia madre, e notai che ero in anticipo di qualche minuto.
Presi un bel respiro, e mi rilassai contro il sedile chiaro. Infilai una mano nel sacchetto e rubai una patatina, portandomela alla bocca e pensando che, una in meno, non sarebbe stata una grande tragedia per Zemo.
La gustai, chiudendo gli occhi.
Ero tremendamente stanca, non avevo dormito la notte prima.
Quando li riaprii, un'anziana signora entrò nel mio campo visivo. Camminava piano, con l'ausilio di un bastone e si dirigeva verso l'entrata del supermercato. Con una velocità nettamente diversa, vidi attraversare un uomo, dall'altra parte della strada. Aveva lo sguardo basso sulle strisce pedonali e indossava una divisa blu.
Inclinai la testa, cercando di reprimere un sorriso. Mi diedi la spinta necessaria per raggiungere con il braccio destro la maniglia della portiera, aprendola.
Alzai lo sguardo, posandolo sull'uomo che nel frattempo mi aveva raggiunta.
"Sei in ritardo -guardai le lancette, le dodici e tre - di tre minuti" dissi, prendendolo in giro.
Rise piano, e smise, quando notò il sacchetto dal logo giallo.
"Sul serio?" chiese, guardandomi, con un sopracciglio alzato e un'espressione divertita.
"Si, assolutamente! Ti ho anche rubato una patatina, se proprio vuoi saperlo" dissi, assumendo la stessa espressione mentre lui saliva in auto.
"Non dovevi farlo!" rispose lui.
Lo guardai mentre apriva il sacchetto e iniziava a mangiare il panino.
Era ridicolo, vestito così. Non persi tempo ad esprimere ad alta voce il mio pensiero.
"Io penso di essere uno schianto - mi rispose, alzando le spalle - Pensi di partire? Sono appena evaso di prigione, non possiamo stare qui ancora a lungo"
Tornai seria, pensando che aveva ragione. Feci scattare le chiavi e partii.
Qualche metro dopo, mentre uscivo dal parcheggio e mi allontanavo dal supermercato, aggrottai le sopracciglia: non sapevo dove andare, o cosa avremo fatto da quel momento.
"Zemo, dove andiamo?"
Mi vennero in mente le altre mille domande che mi avevano tempestato la testa l'ora prima, quindi le buttai fuori, tutte d'un fiato.
"E poi, come cavolo sei uscito? Ti hanno aiutato? Perché farlo adesso? È successo qualcosa? Lo programmavi da molto?"
"Oddio, frena, tesoro. Una cosa alla volta. Ti indico io la strada, andiamo in un vecchio garage, abbiamo qualcuno da incontrare" rispose lui, accartocciando la confezione, ormai vuota, delle patatine. Aveva già finito tutto, doveva aver fame.
"Chi?" chiesi di rimando.
Un ghigno apparve sul suo viso mentre si girò a guardarmi, solo per un secondo.
Torno serio e lasciò che lo sguardo tornasse sulla strada.
"Il Soldato d'Inverno"
Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva quando sentii pronunciare quel nome.

The Border / Bucky Barnes Where stories live. Discover now