22. Amore

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13 giorni dopo
Bucky
Non si può dire che dopo quell'ultimo scontro con Karli e il suo gruppo le cose fossero tornate alla normalità.
Cos'era, oltretutto, la normalità per me?
In ogni caso, le cose non tornarono come prima. Stavo guarendo, o perlomeno, stavo iniziando a farlo davvero. Quel senso di colpa che mi opprimeva il petto era diventato più leggero, anche se so che non potrà mai sparire del tutto. Una volta tornato a casa, mi ero dedicato a completare la mia lista, depennando ogni singolo nome. Avevo cercato ogni persona, e sistemato le cose con ognuna di esse. Avevo fermato chi era al potere grazie a me e detto la verità a coloro che avevo ferito, indirettamente o meno. Le cose non si facevano più facili man mano che andavo avanti con la lista, ammettere di aver ucciso un loro famigliare o di aver provato ad ammazzarli non era mai semplice: tutte le volte mi vergognavo di me stesso, nonostante nessuna di quelle persone mi avesse trattato male, una volta detta la verità. Una volta completata la lista, ho staccato le pagine, inserendole in una busta con un bigliettino.
"Ho finito il libro, grazie del suo aiuto, Dottoressa" ho scritto, indirizzandolo poi alla mia psicologa. A suo modo, anche lei aveva partecipato al mio percorso di ammenda, quindi mi sentivo in dovere di dirle che ce l'avevo fatta.
Non avevo più dormito sul pavimento, e soprattutto, riposando accanto alla donna di cui mi ero innamorato, anche gli incubi stavano svanendo. In quasi due settimane, ne avevo avuto solo uno. Naomi mi aveva subito stretto a sé, cullandomi e ripetendomi frasi dolci.
"Ssh, Bucky, ci sono io qui" sussurrava al mi orecchio con la sua voce vellutata.
Avevo appoggiato una mano sul suo fianco e avevo intrecciato le gambe con le sue, per sentirla il più vicino possibile. I suoi leggeri pantaloni del pigiama sfregavano contro le mie gambe nude, mentre posavo la testa sulla sua spalla. Lei mi baciava la fronte e mi passava ripetutamente i polpastrelli in mezzo ai capelli, per farmi rilassare. Mi era stata accanto tutto il tempo, accompagnandomi da ogni mio nome sul taccuino. Senza doverne parlare esplicitamente, lei si era trasferita a casa mia, che ormai mi piaceva definire nostra. Le stanze profumavano di lei, del suo bagnoschiuma alla vaniglia e del suo shampoo alla camelia. E soprattutto, l'aria era colma del nostro amore.
Forse l'avevo finalmente trovata, la mia normalità: era stare seduto sul divano, stringendo Naomi, guardare un film insieme, mettere la musica degli anni '40 e ballare in salotto, cucinare insieme e bruciare una torta perché troppo impegnati a toglierci i vestiti e baciarci.
"Ti amo, non sai quanto" le dissi, mentre le sganciavo il reggiseno.
Le sue labbra scesero sul mio petto e ne baciarono ogni centimetro, intanto che io muovevo le mani fino a stringerle il seno.
Tornò a baciarmi le labbra e ne approfittai per prenderla in braccio e posarla delicatamente sul letto, infilandomi poi fra le sue gambe, che mi cinsero i fianchi.
Quel pomeriggio, ci concedemmo l'uno all'altra, unendoci nel modo più intimo e dolce possibile. Ci stavamo guardando negli occhi, accarezzandoci a vicenda il viso, quando l'odore di bruciato impuzzolì l'aria.
"Oddio, la torta!" disse lei, afferrando la mia maglia dal pavimento, prima di indossarla e di correre in cucina.
Qualche giorno dopo, mentre era sotto la doccia, uscii per andare a comprare la cena, e ne approfittai per prenderle anche un mazzo di rose. Lei, al mio ritorno, mi disse che ero decisamente un uomo di altri tempi, e che dimostravo tutti i miei 106 anni venendo da un'altra epoca. Avevo riso e l'avevo baciata, dicendole che l'unico lato positivo di essere arrivato nel 2024, era aver conosciuto lei.
Facemmo una doccia insieme per poi addormentarci nudi e abbracciati sotto le coperte. Mi aveva svegliato, la mattina seguente, baciandomi le guance e accarezzandomi la schiena.
Mi piaceva dormire verso il lato del letto più vicino alla porta, per darle più senso di protezione, e quando glielo spiegai mi abbracciò dicendomi che mi amava.
L'avevo vista scrivere una lettera per Zemo e commuoversi quando ricevette la sua risposta, dove lui diceva di essere fiero di lei. Suo padre biologico, Georges Batroc, l'aveva contattata chiedendole di rivedersi. Lei non mi ha mai lasciato solo con i miei demoni, ed io feci lo stesso: la accompagnai all'incontro, per supportarla e proteggerla, tenendole la mano tutto il tempo. Batroc le aveva raccontato la verità: non era scappato, ma Marilyn lo aveva cacciato, proibendogli di conoscere o vedere sua figlia. Non voleva che la sua bambina avesse un padre criminale e ricercato, così gli negò la possibilità di sapere qualsiasi cosa su di lei. A prova di ciò, Georges aveva portato con sè delle lettere scritte da lui, vecchie di anni ed anni, indirizzate a Marilyn, in cui chiedeva di poter vedere Naomi. Lettere che, però, venivano sempre rispedite al mittente, senza risposta. Georges non sapeva che le due avessero cambiato indirizzo, da Sokovia a New York, e poi di nuovo a Sokovia, da Zemo, quindi le lettere successive nemmeno furono recapitate.
Georges la abbracciò, chiedendole di restare in contatto, così si scambiarono i numeri di telefono.
Stavamo entrambi mandando via i mostri che ci tormentavano la notte, proteggendoci a vicenda. Ovunque andassimo, tenevo sempre un occhio vigile su di lei. Come in questo momento: ero in piedi accanto ad un tavolo di legno, circondato da bambini che correvano e schiamazzavano, ma ero anche attento ad osservare Naomi, intenta a parlare con Sarah. I fratelli Wilson avevano organizzato una festa, per celebrare la vittoria contro i Flag Smashers e la barca aggiustata e ritornata quasi nuova. Il loro cortile brulicava di persone, molte delle quali avevano contribuito alle riparazioni. C'erano diversi tavoli su cui erano stese delle tovaglie di carta bianche e azzurre, con dei vassoi ricolmi di cibo: panini, focacce, verdura grigliata, crostacei, pannocchie di mais, crostate e torte. Io e la mia ragazza eravamo arrivati da poco con la mia macchina, portando una torta panna e cioccolato, ed appena scesi dall'auto Sam ci era corso incontro, stritolandoci. Ci aveva anche raggiunto Sarah, abbracciando Naomi e limitandosi a salutare me con un cenno della mano, che io ricambiai.

Naomi
Stavo aggiornando Sarah sugli ultimi avvenimenti, anche se avevo saltato tanti dettagli della battaglia, ma specificato tutto ciò che era successo con Bucky. Era felice per me, per noi, lo dimostrava sorridendomi e mostrandomi i suoi denti bianchi. Era un sorriso vero e contagioso.
Come colonna sonora avevamo Carlos, un amico di famiglia, che suonava la chitarra accompagnato da un uomo della stessa età che tamburellava.
Il resto del pomeriggio lo passammo fra chiacchiere e risate, mangiando e bevendo in compagnia. Con coloro che potevo considerare la mia famiglia, ormai. Sarah, i suoi figli, Sam e Bucky.
Bucky che, un momento in cui mi voltai a guardarlo, era in piedi, con un piede appoggiato ad una panca, ed il braccio sinistro aperto, al quale si tenevano appesi tre bambini, mentre ridevano a crepapelle. Ridacchiai chiedendomi come fosse finito in quella situazione. Lo fissai, nei suoi jeans scuri e la maglia con le maniche corte bordeaux. Non si nascondeva più: niente più guanti e maniche lunghe. Pensai che fosse meraviglioso, ma soprattutto la scena mi fece commuovere: Bucky aveva lasciato avvicinare dei bambini, senza paura di poterli ferire. Si fidava di se stesso. Gli sorrisi fiera, e come se mi stesse leggendo nel pensiero, si voltò per sorridermi a sua volta.
"Vi guardate proprio con gli occhi dell'amore" disse Sarah, appoggiandomi una mano sulla spalla. Ridacchiai, posando il mio bicchiere pieno di Coca-Cola su un tavolo accanto a noi.
"E tu, Sarah? Non guardi nessuno così?" le chiesi, allungando una mano per arrotolare una ciocca dei suoi capelli scuri attorno al mio indice. Era bellissima.
"No, oltre i miei piccoli uomini" indicò i suoi figli.

Man mano, il cortile iniziò a svuotarsi. I vassoi di cibo erano stati quasi completamente svuotati, mentre il sole stava ormai calando.
Stavo aiutando Sarah a riordinare, buttando i piatti di plastica in appositi sacchi neri, e notai con la coda dell'occhio Sam e Bucky ridacchiare fra di loro, camminando spalla contro spalla.
Ci raggiunsero poco dopo.
"Continuo io, vai a farti un giro" disse il nuovo Cap.
"Sicuro?" chiesi, buttando un altro piatto.
Lui annuì, così gli passai il sacco nero e mi sfilai i guanti, buttando anche quelli.
Mi scompigliò i capelli, ed io lo guardai sorridendo. Gli volevo davvero bene, e cercai di farglielo leggere nel mio sguardo. Quando mi sorrise, sperai che il messaggio gli fosse arrivato.
Bucky mi tese il braccio, così gli afferrai la mano. Qualche istante dopo, eravamo seduti sul molto, con le gambe a penzoloni. Avevo tolto le scarpe e lasciavo che i miei piedi sfiorassero l'acqua, mentre facevo riposare la testa sulla spalla destra di Bucky. Si sentiva solo il rumore delle onde, insieme al cinguettio di qualche uccello ed i nostri respiri. Chiusi gli occhi, e mi beai degli ultimi raggi di sole sul viso, prima che sparisse del tutto.
"Come stai?" chiesi poi.
Lo domandai con una voce bassa, per non spezzare la magia del momento.
"Sto bene. Grazie a te" mi rispose lui, girandosi per baciarmi la fronte.
"Ha rimpianti di cui non ti sei ancora liberato, Bucky?" domandai sussurrando di nuovo.
"Forse uno. E non posso rimediare, non potrò mai farlo" mi confessò.
Alzai la testa dalla sua spalla per guardarlo negli occhi. Non gli chiesi niente, ma se avesse voluto aggiungere qualcosa, sapeva che avrebbe potuto farlo, perché ero pronta ad ascoltarlo, ed a fare mio un po' del suo dolore. Fece passare qualche secondo, prima di parlare.
"Tony Stark. Vorrei potergli chiedere scusa, dirgli che mi dispiace. Io ho ucciso i suoi genitori, parecchio tempo fa" disse, guardando un punto definito nell'orizzonte.
"Oh, Bucky... Sicuro sa che ti dispiace e che non volevi farlo davvero. Ti starà guardando da lassù anche ora, mentre pensi a lui" provai a consolarlo, accarezzandogli il collo all'altezza dell'attaccatura dei capelli.
Si girò lentamente verso di me.
"Non smetterò mai di dirti quanto sono grato di averti incontrata. Zemo avrà anche fatto un casino entrando nella mia vita, ma mi ha portato te. Sei tutto quello che ho"
Aveva chiuso a coppa le sue mani intorno al mio viso, ed io avevo appoggiato sopra le mie. Mi sporsi in avanti, per incontrare le sue labbra. Cercai di fargli bere ogni goccia del mio amore per lui, stringendolo e facendo mie le sue labbra.
"Ti amo" dissi, ancora sulla sua bocca.
"Ti amo" ricambiò lui, sorridendo.
Si sdraiò, appoggiando la schiena sulla superficie di legno del molo, portandomi con lui. Mi avvolse con il braccio di vibranio, mentre con il destro mi faceva da cuscino.
La luce del sole sparì completamente, ma non mi importava, lo guardavo negli occhi e mi era sufficiente vedere brillare e splendere quelli.
Ero così convinta di aver superato il confine del normale, aiutando Bucky Barnes, invece mi ero innamorata. Avevo finalmente trovato il mio posto nel mondo, nei suoi occhi e fra le sue braccia.

The Border / Bucky Barnes Where stories live. Discover now