3. L'incontro

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"Che cazzo, Zemo! Ma stai scherzando?" quasi urlai, mentre premevo il piede sull'acceleratore e la macchina acquistava velocità.
"Se non rallenti, non incontrerò proprio nessuno, Naomi" mi ammonì lui, ma quasi non lo sentii.
Staccai una mano dal volante e la posai poco sotto lo stomaco, come se la cicatrice si stesse riaprendo e stesse sgorgando copiosamente sangue.
Inspirai e feci rallentare il veicolo, con gli occhi fissi sulla strada.
"Voglio spiegazioni, adesso"
"Svolta a destra" ordinò lui, indicandomi la via. Quasi fui tentata di andare dritto, e di non ascoltarlo.
"Parla, Zemo" lo esortai di nuovo.
"È venuto da me ieri, nell'orario di visita serale. Quasi non ci credevo.
È diverso, ha i capelli corti e la programmazione da soldato cattivo non è più nel suo cervello"
Deglutii, forse anche troppo rumorosamente.
"Ma non è lui, il problema. Qualcuno ha ricreato il siero del Super Soldato, e James vuole capire chi è questo "qualcuno". È senza indizi, brancola nel buio più totale, quindi ha chiesto il mio aiuto e, ovviamente, devo essere sul campo: non posso aiutarlo chiuso dentro una cella"
Mi spiegò, dandomi meno dettagli di quelli che mi aspettavo, e lo ascoltai in silenzio.
Il Soldato d'Inverno, dunque, aveva aiutato Zemo ad evadere, perché aveva bisogno d'aiuto. Sapevo bene perché Zemo fosse in prigione, mi aveva raccontato ogni dettaglio di ciò che aveva fatto, durante la mia prima visita. Non lo vedevo da un po', quindi non avevo idea di cosa stesse tramando l'uomo che mi aveva cresciuta.
Non che mi fosse piaciuto il suo comportamento, ma lui non aveva nessuno, oltre me, e non si meritava di essere allontanato anche dalla sottoscritta. Così, anche se era additato come "mostro" o "criminale" dalla stampa, per me rimase semplicemente Zemo.
Dall'America mi trasferii in Germania, per rimanergli accanto.
Mi ricordo di come quella telefonata da un numero sconosciuto mi aveva fatto sobbalzare sul divano in pelle. Avevo risposto dopo qualche secondo, e al mio orecchio risuonò una voce metallica, che mi chiese se volevo accettare una telefonata da un carcere della Germania. Ricordo anche come aggrottai le sopracciglia, non capendo chi mi potesse cercare da quel luogo, e dello stupore quando sentii la voce di Zemo, dall'altro lato del telefono.
Non risposi a voce a ciò che mi spiegò, ma annuii silenziosamente.
"Come hanno scoperto del siero? Ci sono altri Super Soldati?" chiesi, curiosa.
"A sinistra!" urlò Zemo. Svoltai all'ultimo, guadagnando il suono di un clacson, il secondo della giornata, dall'auto nera dietro di noi.
Sbuffai, rifilando un'occhiataccia all'uomo seduto di fianco a me.
"Dirlo prima?"
"Scusami, me ne sono accorto tardi. Siamo arrivati comunque, rallenta. Parcheggia laggiù"
Seguii il suo dito, e vidi un posto
vuoto.
Rallentai, titubante.
"Ti serviva un passaggio, no? Ti ho portato fino a qui, quindi scendi e io torno a casa" dissi, alzando le spalle.
"No, vieni con me, dai. Non mi va che ci separiamo di nuovo" mi rispose lui, con tono stranamente dolce.
"Zemo, io..." iniziai, ma non sapevo bene cosa dire, e lui lo sapeva, infatti riprese a parlare subito.
"Non perdere tempo ad inventare scuse. Parcheggia e vieni con me, ci puoi aiutare" disse, con un tono che non ammetteva repliche.
Sbuffai e subito mi ritrovai un dito puntato contro.
"E non sbuffare!" aggiunse al gesto, nascondendo un sorriso.
"Non ti sopporto, Zemo" dissi, scuotendo la testa e socchiudendo gli occhi.
Poco distante da noi c'era un edificio sgangherato, che aveva tutta l'aria di essere il "famoso" garage dell'incontro, da come lo guardava Zemo.
Scendemmo dalla decappottabile, e lui iniziò a camminare, così lo seguii.
Non mi sbagliavo, camminava dritto in direzione dell'edificio, ancora vestito con quella divisa blu che non gli si addiceva per niente.
Mi era bastato incontrare il Soldato d'Inverno una volta, e quella cicatrice che mi aveva regalato ne era la prova, quindi non ero così sicura di volermi trovare faccia a faccia con lui un'altra volta, nonostante Zemo mi avesse informato del suo essere attualmente innocuo.
In ogni caso, era troppo tardi per cambiare idea.
L'uomo davanti a me aveva raggiunto con grandi falcate una porta, o meglio, un pezzo di metallo che fungeva da porta. Lo spostò, tirandolo con la mano destra e facendo leva con il piede.
Entrammo, e mano a mano che ci avvicinavamo, sentii delle voci, discutere animatamente. Erano due, e su questo ne ero sicura, ma non riuscivo a capire le parole in modo distinto.
Un forte odore di plastica si infiltrò nelle mie narici e arricciai il naso per il disgusto. Dritto davanti a me, c'era una sottospecie di tenda, che partiva dal soffitto fino a sfiorare il pavimento sporco, formata da enormi frange di plastica. Zemo non perse tempo, se non un secondo per voltarsi a guardarmi, e aprì un varco fra le frange per permetterci di passare.
Le due voci tacquero immediatamente, e il silenzio regnò sovrano per qualche istante. Il mio sguardo vagò per la stanza buia: era illuminata parzialmente da alcune luci a neon sul soffitto, un bancone da lavoro occupava metà della parete alla mia destra, per il resto erano presenti diversi scaffali. Era stracolma di cianfrusaglie, e di casse di legno abbandonate. Un'auto, ferma davanti a me e Zemo, sembrava l'unica cosa tenuta bene all'interno di questo posto.
Guardai, per ultimi, gli uomini davanti a noi. Erano uno di fronte all'altro, con delle espressioni nervose. Una di queste si tramutò in stupore, e una frazione di secondo dopo, in rabbia.
"No, no, no! Bucky, ma che hai fatto? Cosa ci fa lui qui?" disse, indietreggiando di qualche passo, riferendosi chiaramente al mio amico. Capii dunque, che l'idea di fare evadere Zemo non era di entrambi.
"Non te l'ho detto perché sapevo che avresti reagito in questo modo, possiamo parlarne?" disse l'altro, spalancando le braccia.
Lo fissai per qualche secondo di troppo: era decisamente lui.
È vero, come aveva detto Zemo, aveva i capelli corti. Per un attimo mi chiesi se guardandomi, si sarebbe ricordato di me. Mi risposi da sola, dicendomi che aveva ucciso o colpito talmente tante persone, che di certo non si sarebbe ricordato della sottoscritta.
Mi schiaffeggiai mentalmente subito dopo. Davanti a noi non c'era più quel soldato pericoloso, quindi non serviva pensarci, o almeno lo speravo.
Mi risvegliò la voce dell'uomo al mio fianco.
"Sono una risorsa inestimabile" disse alzando un indice, guardando i due, che subito, contemporaneamente, gli urlarono gli stare in silenzio.
La cosa mi fece sorridere.
"Ma soprattutto, lei chi è?"
Mi stavano guardando, e si aspettavano una risposta. Feci per aprire bocca, ma Zemo mi anticipò.
"Si chiama Naomi, ci possiamo fidare. Viene con noi, ci aiuterà" spiegò, mentre mi cinse le spalle con un braccio.
"Ci dobbiamo fidare di un criminale e di una ragazzina che non abbiamo mai visto. Sí, Bucky, mi sembra la strada giusta" si lamentò nuovamente l'uomo.
Lo guardai attentamente, era alto e slanciato, con la pelle scura e un viso magro. Decisamente, lo avevo già visto.
Indossava una maglia azzurra, coperta da una giacca marrone.
"Sam, ascoltami. Ti sei messo nei guai per proteggermi, una volta. Ti chiedo di rifarlo, per favore. Fidati, lui ci serve"
Quando il Soldato pronunciò il suo nome mi si accese una lampadina in testa: quello era Sam Wilson, Falcon, un Avenger.
Figo, pensai, ho davanti un eroe.
E l'uomo che mi ha sparato, aggiunsi subito dopo.
Scacciai quel pensiero, mordendomi il labbro inferiore.

The Border / Bucky Barnes Where stories live. Discover now