Prologo

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Mia nonna mi chiamava divoratrice di leggende.

«Non so più cosa raccontarti, Raven. Potremmo cercare qualche leggenda in rete, in caso», esclamò un giorno.

«Ma nonna, hai detto che la mia anima si nutre di parole», mi lamentai.

«Già, è così.»

«E cosa succede ad un’anima, quando le parole finiscono? Di cosa si nutre poi?»

«Di illusioni?», azzardò, sorridendo.

Il nostro sabato sera era caratterizzato da biscotti alla cannella, tisana fumante al limone e leggende sussurrate sotto la cascata di luce calda dell'abat-jour, in soggiorno.

Seduta sulla sedia a dondolo rizzavo le orecchie e l'ascoltavo attentamente; osservavo il movimento lento delle sue labbra contornate da un reticolo di piccole rughe, e di quelle due piccole gemme nere e sonnacchiose che mi fissavano con curiosità.

Il nastro di luce illuminava il suo profilo poco definito e metteva in risalto le sue guance cadenti e gli occhi infossati. Ogni tanto picchiettava la mano sul mio ginocchio per richiamare la mia attenzione, e io mi preparavo: chinavo il busto in avanti, spalancavo gli occhi e piluccavo distrattamente il biscotto mentre lei continuava a parlare.

Soltanto una leggenda è stata in grado di catturare completamente la mia attenzione per anni: la leggenda del Piccolo sognatore.

Ogni anno, durante il mese di agosto, un ometto esagitato e abbastanza loquace, correva al centro del villaggio, saltellando e facendo roteare in aria il suo cappello di paglia. Gridava: «Seguitemi, piccoli sognatori! Seguitemi e la vostra vita cambierà per sempre».

Raggruppava la gente, grandi e piccoli, intorno ad un falò sotto il cielo stellato e chiudeva gli occhi. Si abbandonava ad un'emozione che soltanto lui era in grado di percepire. Annusava il dolore, la noia, la disperazione delle persone e disprezzava profondamente chi era davvero felice e non si aggrappava alle illusioni.

«Un vero sognatore ha il cielo negli occhi. Chi vuole cambiare la propria vita, cerca le stelle ogni sera. E dimmi, piccola e ingrata creatura, se il dolore non trabocca dai tuoi occhi, puoi davvero ritenerti un sognatore?», diceva agli umani sfortunati. C'era chi aveva tutto: una vita perfetta, l'amore, i soldi, e c'è chi come me si nutriva di speranze e illusioni.

«Questa sera i sogni diventeranno realtà», il piccolo sognatore regalava sorrisi maliziosi agli abitanti, poi si toglieva il cappello e se lo portava davanti al petto. «Ma soltanto chi passa la vita a sognare ha il diritto di farsi baciare dalle stelle». E poi, inaspettatamente, soffiava una polvere magica nell'aria e spariva nel nulla, come se niente di tutto ciò fosse mai accaduto.

Tra le assi scricchiolanti del pavimento, sotto le coperte che formavano un rifugio sopra le nostre teste al centro della stanza, fingevamo di essere in campeggio. Guardavo i miei fratelli e sussurravo a voce bassa, puntando la torcia sui loro visi curiosi e un po’ pallidi: «Se non avrete abbastanza fantasia, allora frammenterò il mio sogno e ne donerò un pezzo a ciascuno di voi».

Le parole della nonna tenevano in vita la speranza nel mio petto, ma non avrei mai potuto immaginare che un giorno il nostro sogno si sarebbe sgretolato in pezzi ancora più piccoli.

La nonna non c'è più, la mamma se n'è andata e papà è caduto in disgrazia.

E io, in un momento di vulnerabilità, ho permesso alla mia nemesi di rubarmi la leggenda e la speranza.

Elias Bailey è sempre lì, in un angolo silenzioso della mia testa, che mi fissa con occhi sfavillanti e maliziosi, e mi sorride sornione.

Mi sembra quasi di sentirlo pronunciare, con la tipica nota di sarcasmo nella voce: «Allora volpina, che sapore ha il fallimento?»

E sempre in modo silenzioso, io gli rispondo: «Chiedimelo dopo che ti avrò strappato le ali e ti avrò rubato i sogni, piccolo corvo.»

Perché è quello che fanno i Parker. Se non riescono più a sognare, allora rubano i sogni.

Ma lì, tra le mura della Hawthorne Academy, Elias è riuscito a rubare qualcosa a me. Me l'ha sottratta con astuzia e io l’ho colpito. Ho preso le mie parole e gliele ho lanciate nel cuore, affilate come la lama di una spada.

Adesso, ogni volta che incrocio i suoi occhi, loro urlano: «Ti odio. Ti odio. Ti odio.»

E i miei, in risposta, sussurrano: «Lo so. È sempre stato così tra di noi.»




Ecco il prologo della storia. Spero vi sia piaciuto, prossimamente pubblicherò il primo capitolo per farvi già conoscere i nostri fratelli Parker e spero li amiate come me💕

Wicked Game Where stories live. Discover now