1. Scappare

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C'è un momento, nella vita di ogni persona, in cui diventa necessario dover tracciare una linea di confine. Parlo di una linea di separazione che divida ciò che si è stati da ciò che si vorrà diventare, le paure dalle ambizioni, la pigrizia dalla volontà di cambiare. Non si tratta tanto di ergere un muro, quanto piuttosto di capire che il passato è passato e che occorre trarre il meglio da esso per poter costruirsi un futuro adeguato. Tracciai quella linea il giorno in cui mi trasferii a Milano. Due furono le regioni per cui lo feci.

La prima assecondava in pieno la mia visione strettamente utilitaristica delle cose: ad inizio settembre di quello stesso anno avrei iniziato l'università, e conoscendomi già sapevo che non avrei retto facendo il pendolare per cinque anni. Abitavo in una piccola città in provincia di Brescia, in uno di quei paesi dove il campanile del duomo suona ogni quarto d'ora e dove i vecchi girano in bicicletta con le borse della spesa sul manubrio, un posto dove non si può davvero essere sé stessi senza venir giudicati e dove i vicini di casa sanno meglio di te quanto scopi al mese. Stava a circa un'ora di treno da Milano, quindi sarei potuto tornare a casa ogni volta che lo avrei voluto, se mai lo avessi voluto.

La seconda ragione era invece frutto del mio più profondo quanto conscio egoismo. Nell'anno che precedette il mio trasferimento mi resi conto di vivere in una condizione di non vita. Mi trascinavo giorno dopo giorno con la consapevolezza che non sarei riuscito ad andare avanti in quel modo. Non trovavo più piacere nelle cose che ero abituato a fare, nelle persone che ero abituato a frequentare, nei luoghi in cui ero obbligato a stare. La noia mi stava ammazzando lentamente. Semplicemente non mi sentivo più parte di quel piccolo mondo che era la mia città. Ero stanco, volevo andarmene via, lontano dalle persone che ero solito chiamare amici, dai pettegolezzi di quartiere, da quel posto che mi pareva non essere abbastanza. Capii che quel buco di città era fin troppo stretto per me e per le mie aspirazioni e che se fossi rimasto lì non avrei mai soddisfatto quel senso di incompletezza che ormai da tempo mi tormentava.

Così me ne andai. Trovai un coinquilino e un appartamento in affitto a buon mercato. Lasciare casa fu la scelta migliore che potessi fare, e ancora oggi ne sono convinto. Non sarei mancato a nessuno, nemmeno ai miei genitori. In città avevo solo un amico, Riccardo, che viveva a Milano già da un anno. Riccardo fu l'unica cosa che mi portai dietro dal posto in cui ero nato, ed obiettivamente mi fu di un'infinta utilità: il solo guardarlo mi ricordava tutto ciò da cui stavo scappando.

Ma nonostante me ne fossi andato, c'erano cose da cui era impossibile scappare. Certi fantasmi ti seguono ovunque tu vada. Presto mi resi conto che la mia vita era stata governata dalle scelte di altre persone. E appunto, nel settembre di quell'anno, diedi inizio ad un progetto di lungo termine di cui, sebbene ne fossi il protagonista, non ne ero affatto l'autore. Quell'anno avrei iniziato a studiare economia. Il piano era quello di farmi istruire al fine di subentrare nell'attività di famiglia, così come lo era stato per generazioni. Ma la verità era che l'economia non mi interessava.

Io volevo fare lo scrittore.

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