6. Distrazione

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Quella notte, come tutte le successive notti della settimana, dormii come un ghiro. M'addormentavo ascoltando i Joy Division, nudo come un verme nel buio della mia stanza. Pensavo ad Olimpia, continuamente e costantemente. L'insonnia non si presentò nemmeno una volta.

Dopo quel pranzo, il nostro rapporto non s'era tuttavia evoluto come mi ero immaginato. Ci limitavamo a sporadici scambi di messaggi e a qualche parola in aula al cambio delle lezioni. Olimpia era sfuggente, schiva, a volte introvabile. Impiegava ore a rispondermi. Non mi cercava mai. Spesso mi ignorava. Provai addirittura a cercarla online, ma a parte una sua omonima del Veneto, non esisteva nessuna Olimpia De Marchi che corrispondesse a quella ragazza che avevo conosciuto. A completare questo quadro da persona scomparsa, Olimpia frequentava pochissimo l'ambiente universitario. Anche nei pochi giorni in cui andava ai corsi era come se non fosse realmente in aula. Capitò più di una volta quella settimana che, nel bel mezzo della lezione, raccattasse la propria roba e se ne andasse, catturando gli sguardi maliziosi degli altri ragazzi e quelli non troppo stupiti dei professori. Si comportava come un fantasma, apparendo occasionalmente per poi scomparire nuovamente. E nonostante avesse avuto un effetto narcotico sulla mia parte più stronza e cinica, andavo letteralmente in escandescenza ogni qualvolta non riuscivo a parlarle o a scriverle per più di due minuti di seguito. Inizia a pensare che non fosse interessata a me tanto quanto lo ero io per lei. Forse avevo frainteso tutto. Forse era tutto solo nella mia testa. L'ultima volta che avevamo avuto una vera e propria conversazione lei m'aveva abbandonato sulla porta di casa sua con un indecifrabile sorriso in volto. E io m'ero chiesto giorno e notte cose volesse dire.

Solo che Olimpia non voleva dirmelo.

Quel fine settimana, Riccardo aveva in programma di portarmi fuori. Mi parlava spesso di serate, di locali, di eventi, ma io non sono mai stato uno da feste. E in quei giorni in particolare non ero per niente in vena. Non sentivo Olimpia da più di un giorno.

- Senti qua. Un'amica di Anna stasera organizza una festa in un locale in centro e ovviamente noi due siamo invitati. -.

- Non vorrai davvero trascinarmi ad una festa di liceali? -.

- Cazzo, Andrea. Ho capito che ormai nella tua piccola testolina da sociopatico c'è solo e soltanto la tua ragazza fantasma. Ma questo non vuol che tu non debba più divertirti, no? Andiamo a questa festa, ci beviamo qualche bicchiere, magari incontri una e ci facciamo la nostra serata tranquilla. -.

- Prima di tutto, Olimpia esiste e non è un fantasma. Seconda cosa, so già quale potrebbe essere l'andazzo della serata se accettasi di venire: tu staresti tutto il tempo con Anna e a me toccherebbe intrattenere una sua amica che non farebbe altro che parlarmi di cazzate di cui non mi frega assolutamente niente. E non far così con la testa! L'ultima volta con quella Rebecca è andata esattamente in questa maniera. -.

- Però non ti sei fatto problemi a portartela a letto, eh? -.

- Magari fossero questi i problemi nella mia vita. -. Ridemmo entrambi.

Ci stavamo godendo gli ultimi raggi del sole bevendo un aperitivo fuori dal campus. Era la prima volta che trascorrevamo così tanto tempo insieme, di solito lui era sempre pieno di impegni. Gli avevo confidato dei miei dubbi su Olimpia. Lui mi disse che avevo sbagliato a dirle delle fotografie, che probabilmente l'avevo spaventata e che ora non voleva più avere niente a che fare con me, ma era troppo gentile per dirmelo. Mi suggerì di lasciarla perdere già da subito e senza ripensamenti.

Olimpia quel giorno non s'era proprio fatta vedere a lezione. Le avevo scritto un messaggio ma non mi aveva ancora riposto. Mi domandai per quanto ancora dovesse andare avanti questa storia. Obiettivamente, non avrei dovuto pretendere chissà che cosa: ci eravamo conosciuti per caso in una mattina qualunque di un giorno come gli altri.

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