Nebbia

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Robert e Javier arrivarono alla casa di Jerome che ormai avrebbe dovuto schiarire invece il cielo continuava a borbottare intransigente. Non lasciava presagire nulla di buono. La cosa più agghiacciante era il silenzio, interrotto solo da qualche abbaiare lontano. Il quartiere benestante alle pendici del monte era in parte stato incendiato da una fuga di gas, in parte giaceva immobile in un fumo spesso che era quasi irrespirabile. Robert fece segno a Javier di coprirsi la bocca. La casa di Jerome era a metà del gruppo di schiere. Una normalissima casa alto borghese, con pratino ben tenuto, ma c'era qualcosa di inquietante in quella normalità. Era come se fosse stato tutto congelato in un istante e i suoi abitanti fossero semplicemente spariti dalla faccia della terra. Jerome era stato fortunato. Robert entrando in quella casa pensò che forse c'era qualcosa di ingiusto nel destino, perché risparmiare un vecchio e uccidere una giovane madre e rendere orfana una bimba come Jasmine?

Entrarono dal portone principale. Una grossa croce rossa lasciata probabilmente dai paramedici stava a significare che non vi erano altre persone vive in casa e che la casa era già stata controllata. Il piano di sotto viaggiava in quella nebbia irrespirabile. Le fotografie sembravano sospese nel nulla. Robert non indugiò molto, cercò le chiavi e poi indicò a Jerome la via verso il garage. Javier si fermò un attimo e indicò un biglietto lasciato sul mobile. Lo prese e lo passò a Robert. Questi lo studiò un attimo. Almeno il vecchio non aveva mentito: aveva cercato Rachel prima della tempesta. Era ora di vedere se l'auto si decideva a partire. Chiusero la porta del garage dietro di loro con tonfo. Qui il gas non era entrato per fortuna e presero diverse boccate d'aria tossendo. L'auto si aprì quando Robert pigiò sul telecomando. Entrarono e si tirarono dietro le portiere. Nessuno aveva ancora proferito una sola parola. Era come se quel silenzio fosse penetrato in loro. Forse dopotutto non avevano sbagliato a spingere le persone all'interno del supermercato. Quanti susperstiti c'erano stati in quel quartiere? E nella città?

Robert individuò un telecomando lasciato all'interno dell'auto. Provò tutti i tasti disponibili ma il garage rimase al suo posto. Immobile. Tirò fuori il mazzo di chiavi dell'auto: c'era una piccola chiave attaccata sopra. Provo ad aprire con quella . Stridendo i cardini si mossero e lentamente il portone del garage si aprì. Una ventata di aria carica di gas lo travolse. Tossì indietreggiando e coprendosi il volto. La concentrazione nella rampa era ancora più forte. Risalì in auto velocemente. Impiegò diversi minuti a respirare normalmente. Javier lo guardava preoccupato. Infine, si offrì di guidare. Robert a malincuore accettò. Chiuse il sistema di condizionamento dell'auto e inserì il ricircolo e infine diede il via libera a Javier perché partisse. L'auto si avviò e prese la rampa senza alcuna difficoltà. Javier pestò sul pedale finché non sentì di essere abbastanza lontano da quel luogo di morte. Si fermò ad un incrocio deserto. Il semaforo sfrigolava lampeggiando a tratti. Guardò le indicazioni confuso. Robert fece un breve sospiro per prendere fiato e indicò lui una direzione.

Guidarono verso sud lasciando i monti. Javier non osava accelerare, come se avesse paura di quello che ogni incrocio poteva riservare loro. Era una situazione spettrale. Auto carbonizzate. Pali divelti. Alberi infranti. Persone abbondante sul ciglio della strada in pose innaturali. Bianche come delle statue di sale. Pozzanghere grosse come laghi, tombini saltati in aria. Non sapeva davvero cosa dire. Ogni parola gli moriva in gola. Giunsero infine al lago Lemano. Le acque immobili coperte di nubi che a tratti ancora lanciavano scariche verso l'acqua : una trappola mortale per chiunque.

Fu contento di allontanarsi da lì girando in Route de Mayrin. La strada procedeva in mezzo alla campagna e per fortuna era abbastanza sgombra da passarvi senza troppi problemi. Il cupolone ramato del Cern comparve davanti a loro immobile, come un gigante sospeso nel nulla. La portineria era vuota. La sbarra abbassata. Robert scese dall'auto ed entrò nel capanno del custode. L'uomo era riverso a terra. Bianco ed immobile. Per un attimo si ritrasse poi si fece coraggio, schiacciò il pulsante per aprire la sbarra. Anche qui non accadde nulla. Dovette perquisire il custode per trovare le chiavi per lo sblocco manuale.

Armeggio' per quasi 15 minuti con quel mazzo di chiavi, sotto la pioggia che aveva ricominciato a battere. Adesso respirava meglio, ma quell'umidità gli dava un senso di oppressione sul petto che non sapeva spigarsi. Forse era solo paura che ricominciasse tutto da capo. Perchè a qualcosa del genere per una seconda volta, non era certo di poter sopravvivere. Quando la sbarra finalmente si alzò Javier tirò un sospiro di sollievo. Aspettò che il collega salisse e ripartirono. Robert gli fece seguire le indicazioni per il centro di sorveglianza. Non si vedeva traccia di anima viva in giro e Robert non aveva idea di dove fossero i rifugi di cui Rachel più volte gli aveva parlato: bunker sotterranei. Un buon posto dove sopravvivere ad una catastrofe del genere.

L'edificio basso che ospitava la sorveglianza era un nugolo di vetri in frantumi. Ogni passo sentivano scricchiolare sotto le scarpe. Le sedie erano state abbandonate un po' ovunque, alcune erano a terra. Gli apparecchi avevano sopra aloni scuri che non facevano presagire nulla di buono. Robert si fermò distrutto. Come faceva ora? Il suo piano era in frantumi proprio come quelle finestre. Non sapeva come contattare la stazione radio. Javier attirò la sua attenzione su una scala che scivolava verso il basso. Robert annuì. Presero la scala contando i propri passi. Fecero due rampe che si inabissavano su sé stesse come una spirale, quindi si aprì davanti a loro un lungo corridoio. Videro una figura verso il fondo passare da una porta all'altra. Almeno questa era ciò che a Robert era sembrato, fece per correre in quella direzione. Quando una porta si spalancò e una guardia in uniforme lo travolse. Javier li aiutò entrambi ad alzarsi.

L'uomo gli fece segno di seguirlo. Non disse nulla. Robert entrò ed iniziò a respirare di nuovo: per fortuna anche lì c'erano molti superstiti. Certo alcuni erano feriti gravemente, ma almeno qualcuno si era salvato. Si diresse verso un uomo che stava impartendo ordini e aspettò il proprio turno un po' sperso guardandosi attorno, come se sperasse di vedere Rachel comparire da un momento all'altro. Quando si trovò lì davanti si sgranchì la gola, tossi un paio di volte e poi riuscì a presentarsi. Era come trovarsi in un sogno. L'uomo lo ascoltò in silenzio. Poi sospirò e lo prese da parte. - Se vuole possiamo riprovare, ma per adesso nessuna risposta. Forse il collegamento ha dell'interferenze, ma con Bruxelles siamo riusciti a parlare...- la voce gli arrivò come un'eco lontana. Non sapeva se piangere o se afflosciarsi a terra. Tossì di nuovo. La stanza girava. Non poteva essere. Lasciò li quell'uomo senza dire altro e prese a correre verso l'uscita.

Javier lo seguì. Rimase a distanza. Lo vide inginocchiarsi a terra in mezzo alla pioggia. Si chiese cosa fosse successo alla propria famiglia. Si chiese se presto anche lui sarebbe stato in quello stesso stato. Robert non riusciva ad urlare o a piangere. Non poteva finire così. Nel nulla. Senza avere nemmeno una risposta, senza poter sentire la sua voce o sfiorare le sue mani almeno un'ultima volta. Immaginarsi i suoi occhi spenti, le sue palpebre immobili e fisse nel nulla , la sua pelle diventare come cera, come i tanti cadaveri che avevano visto per strada gli era insopportabile.

Lentamente Javier si avvicinò. Gli era tornata in mente una frase di sua nonna sulla Seconda guerra mondiale. "Il non sapere è la peggiore delle condanne. Ogni anima ha bisogno di una certezza per poter guarire dal dolore". Suo nonno era morto in un campo di concentramento. Lei l'aveva aspettato inutilmente per anni. Non avevano mai ritrovato il suo cadavere. Porse le chiavi dell'auto a Robert. Lui lo guardò stupito. Aveva paura e Javier lo capiva. Su quella strada, su quel monte, chissà cosa avrebbero trovato, ma non avevano altra scelta. Quell'uomo gli aveva salvato la vita. Gli doveva qualcosa: la pace almeno. Per quanto fosse rischioso era disposto a seguirlo. Gli strinse la spalla in segno di incoraggiamento. Robert si rialzò e senz'aggiungere altro prese a camminare dritto e deciso verso l'auto di Jerome Montreaux.

SPHERE - Tempesta MagneticaWhere stories live. Discover now