Alle porte dell'inferno

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Federica seguiva gli infermieri che trasportavano di peso Jerome verso il basso. Uno scalino dietro l'altro sentiva il cuore battere forte. Arrivata al piano terra si fermò come paralizzata davanti alla vetrata. Il cielo stava precipitando in un viola tendente al blu. Sentiva l'elettricità nell'aria. Il vento soffiava sempre più forte. Le nubi montavano tra quei riflessi bluastri che avevano accompagnato quell'ultima notte. Non sentiva dolore e in un certo senso questo liberava la sua mente esponendola alle paure peggiori. Jerome la chiamò e finalmente riuscì a muoversi. Con lentezza, trascinando il fianco ancora compromesso scese gli ultimi gradini rimasti e giunse al piano interrato. Controllò la cancellata quasi per riflesso.  La gabbia era stata fatta bene. Avrebbe funzionato. Doveva solo arrivare al momento in cui sarebbe passata l'onda. Riaprirono la sedia a rotelle di Jerome e li lasciarono liberi di spostarsi. Spinse Jerome in una stanza appoggiandosi alla sedia. Quindi trovò in un angolo della stanza una sedia e si lasciò scivolare sopra. Rimase di nuovo incantata a fissare il cielo oltre il vetro rotto. La piccola apertura giusto a livello del terreno era coperta da una pesante grata, saldata al resto della struttura della gabbia. Più di così cosa potevano fare?

-È così brutta? - chiese Jerome distogliendola dai suoi pensieri. Lei annuì sospirando a fondo. Aveva ancora in testa le immagini riprese durante la tempesta precedente. Da allora non era più riuscita a parlare con Helene. Sapeva da Rachel che stavano bene, avevano ricevuto le tute e si preparavano alla tempesta. Chissà cosa poteva succedere su quella montagna? In realtà non sapeva proprio quale posto fosse il posto migliore o peggiore. Era la conclusione più amara a cui erano arrivati i gruppi di studio sotto la sfera. Nessuno al mondo aveva l'assoluta certezza di sopravvivere, nemmeno se stava all'interno di una gabbia di Faraday.

-Funzionerà- disse Jerome. Federica lo guardò stupita. Come faceva ad essere così ottimista? Forse la sua malattia in questo caso lo rendeva meno razionale. Lei tremava, fino alle budella. Sapere cosa sarebbe successo, non la tranquillizzava affatto. - Il tuo lavoro è finito- aggiunse prendendole la mano. Federica non lo respinse. Nonostante tutto si rese conto di avere terribilmente bisogno di un contatto umano. Era lì per gli antidolorifici o per Jerome? Doveva proprio rispondere? Forse solo non voleva vivere da sola quella giornata. Jerome ormai si comportava come un miracolato, ogni istante per lui era un regalo. Fosse un minuto o un'ora o giorni. Sembrava non avere più paura di nulla. Avrebbe tanto voluto poter sentire i suoi figli, ma non aveva fatto in tempo prima della tempesta e così ora non sapeva nemmeno se avessero trovato un rifugio, se era fatto per bene, se stavano bene.

- Federica? - la richiamò Jerome. Era molto preoccupato. Era tornata troppo silenziosa dal CERN. Gli aveva risposto a mono sillabi per quasi tutta la notte. Era abbastanza certo che non avesse chiuso occhio, ma non aveva voluto alcun aiuto per dormire nonostante le sue insistenze e quelle degli infermieri. Aveva parlato di una tigre, ma lui non capiva a quale tigre si riferisse. "Non voglio più vedere quella tigre" aveva ripetuto più volte. Sembrava che Federica fosse tra i pochi ad aver visto in faccia il burrone in cui tutti stavano per cadere e per qualche motivo, ne era rimasta traumatizzata. Si era persa nella nebbia dell'angoscia e lui non sapeva più come tirarla fuori.

-Non sono pronta. - disse dopo una lunga attesa piantando gli occhi a terra.

-Nessuno lo è- sorrise tristemente Jerome. - Vieni qui, andrà tutto bene. So che non ci credi, ma per un momento sta a sentire questo pazzo vecchio! - Jerome la tirò verso di sé. Federica lo lasciò fare, come fosse una bambola senza volontà propria. Si appoggiò sul suo petto. Aveva anche perso il suo odore. Sapeva solo di ospedale e disinfettanti. Perché lo aveva trascinato al Globo? Era per il bene suo o per sé stessa? In quell'uomo pelle e ossa non c'era più nulla del ragazzo che aveva sposato, del brillante fisico: era solo un vecchio. Eppure, il suo cuore batteva così forte. Fuori erano scese le tenebre, quasi fosse tornata la notte. I lampioni sfarfallavano, come le luci elettriche sopra di loro. Federica alzò gli occhi colmi di lacrime e li fissò su Jerome. Sentiva come un nodo in gola. - Andrà tutto bene- ripeté Jerome sottovoce. Faceva sempre così con i bambini da piccoli quando avevano la febbre. Certi automatismi non passano. Non era sempre stato un pessimo padre. Forse non sempre presente, ma aveva amato i suoi figli con tutto sé stesso. E anche sua moglie. Aveva sbagliato. Aveva pagato.

SPHERE - Tempesta MagneticaWhere stories live. Discover now