9. Amber

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Ovvio che non conosco il codice.

Ma dovevo prendere tempo. E allontanarmi da Natalie. Non ci credo che quella tosse fosse finta, sicuramente sta incubando qualche malattia, e io non voglio saperne niente. Se devo starmene legata per tutte queste ore, perlomeno voglio essere da sola e non appiccicata a mia sorella che non fa altro che muoversi in continuazione e sputacchiare germi.

Ero abbastanza stressata, quindi ho dovuto inventarmi qualcosa e correre ai ripari. Uscirmene fuori con quell'affermazione a effetto sorpresa mi sembrava la scelta migliore.

Solo che ora non ne sono poi così tanto convinta, perché la pistola che fino a cinque minuti fa era puntata contro l'addome di mio padre, adesso è puntata contro la mia schiena e mi spinge a sostenere il passo sino ad arrivare alla cassaforte in questione.

Quando entriamo nello studio di papà mi guardo intorno con un forte disappunto. Non ci mettevo piede da un bel po' di tempo, perché lui non ha piacere che le persone entrino qui, e come biasimarlo, l'arredamento è così rétro e privo di gusto. Una consulenza d'interni farebbe al caso suo. Magari dopo glielo propongo.

Mi addentro a passi incerti e arriccio il naso disgustata dall'odore di sigari che aleggia in questa stanza.

Prendo uno spavento quanto Dick mi si para davanti a dieci centimetri dal viso. «Allora, bellezza», comincia spostandomi una ciocca di capelli dietro la spalla. «Il codice».

Tana per Amber.

Cosa mi invento adesso? Non posso semplicemente dire "Sai, mi sbagliavo, non lo so il codice" e uscirmene illesa.

Provo a pensare velocemente a quale potrebbe essere la password di mio padre, magari un compleanno, un giorno importante della sua vita, ma non mi viene in mente niente. Poi, di colpo, come un fulmine a ciel sereno, mi torna in mente una conversazione che abbiamo avuto quando mi ero appena laureata e lo avevo guardato attraverso la porta semiaperta mettere dei documenti dentro alla cassaforte. Avevo visto il codice e lui se n'era accorto, così gli chiesi scusa e gli dissi che non l'avrei comunque ricordato. Al che lui ha riso e mi ha detto "Non preoccuparti, Amber. Il codice della mia cassaforte cambia automaticamente ogni due giorni. È collegato a un'applicazione del portatile a cui posso entrare solo previo accesso tramite un ulteriore codice generato dal cellulare. Nessuno, nemmeno io, può sapere qual è il codice in questo momento. Devo generarlo, capisci?". Ho annuito e ho pensato: "Che figata avere un padre così intelligente".

Ecco, adesso penso che non sia tanto una figata, perché questo stupido codice sta mettendo in pericolo l'intera famiglia. Se è vero che deve essere generato attraverso il cellulare, solo lui sa come fare e, da come stanno le cose, non credo abbia intenzione di collaborare.

Devo prendere tempo...

«Non è così semplice, perché... io... Devo calcolarlo», improvviso.

Dick mi guarda perplesso. «Cosa significa "calcolarlo"?»

«Quello che hai sentito. Mio padre utilizza la successione di Fibonacci, ma i primi due numeri non li so, quindi dovrò fare diverse prove, diversi calcoli. Capisci? Si chiama anche successione aurea, ne hai mai sentito parlare?». Tento di disorientarlo e infatti l'espressione che mi restituisce è alquanto confusa. Sono punti neri quelli?

«Senti, biondina, non ho voglia di essere preso in giro. Lo sai il codice o no?»

«Certo che lo so! Ma te l'ho detto, devo calcolarlo. Non sei molto sveglio».

«Ehi, Dick!», entra di corsa Steve con un'espressione raggiante. «Guarda un po' cos'ho trovato! Soldi! Saranno cinquemila sterline».

Dick straluna gli occhi e si allontana cautamente da me, continuando a tenermi sott'occhio. «Dove li hai trovati?»

«In una delle camere al piano di sopra. Sono un sacco di soldi!»

«Non siamo qui per questo».

«Dopo quello che è successo? Ci deve molto di più di questi spiccioli».

Rizzo le antenne per cercare di capire di cosa parlano, ma adesso hanno abbassato il tono e le loro voci sono solo un sussurro incomprensibile.

Poco dopo Steve lascia lo studio e Dick torna da me, mi afferra il braccio e mi fa sedere con forza sulla poltrona di mio padre. Poi prende un foglio dalla stampante dietro di noi e me lo piazza davanti con una matita e una calcolatrice.

«Devi fare i conti? Ecco qui. Buon divertimento, mia cara. Se non ti disturbo troppo io mi metto seduto qui», dice prendendo posto sulla seduta davanti a me.

Lo guardo impaurita e, con mano tremante e palmi sudati, mentre cerco di mantenere il controllo di me stessa, prendo in mano la matita e comincio a scrivere.

Natale sotto sequestroWhere stories live. Discover now