𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 2

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<Papà> e la sua mano mi prende il collo stringendo forte e mi sbatte al muro.

Mio fratello fa un passo verso di noi, ma mia madre si frappone fra lui e noi e comincia ad urlare contro mio padre che non pensa proprio di togliere la mano dal mio collo <Adonis ma cosa stai facendo? LASCIALA SUBITO.> ma in risposta mio padre stringe di più e non distoglie neanche per un secondo lo sguardo dal mio.

<<Tranquilla mamma, me lo merito> dico con un filo di voce, ansimando in cerca di aria.

Lui notando il mio viso arrossato, allenta la presa ma continua a tenere la mano lì.

<Non mi interessa se lo meriti o no. Adonis lasciala subito.>  e così finalmente lasciò la presa dal mio collo. Siano lodati i cieli. Riuscì a non cadere per terra, e mi ricomposi subito e mantenni lo sguardo.

<Tesoro mio sei qui. Sei tornata da noi> dice mia madre con le lacrime agli occhi, abbracciandomi con una tale forza da spezzare il respiro ripreso.

<Mi dispiace se sei stata male in questi anni mamma.> sussurro tra i suoi capelli e lei in risposta mi stringe ancora più forte.

Ad un tratto sento altre braccia unirsi a noi, e mi accorgo essere mio fratello Julian e mia sorella Atena. Una parte di me vorrebbe che si aggiungesse anche mio padre, ma so che non lo farebbe.

Non è mai stato un padre affettuoso ma neanche assai severo o freddo. E' sempre stato giusto con me, ha stabilito delle regole tra noi e se le rispettavo accennava ad un sorriso, o un abbraccio capitato soltanto due volte, di cui uno dato il giorno del mio settimo compleanno.

Con mia sorella Atena essendo la sorella maggiore, la prima figlia è sempre stato un po' più dolce ma sempre mantenendo il suo ruolo di padre serio.

Con Julian è un po' diverso visto che è l'unico figlio maschio, ma non so con gli anni il loro rapporto si sia stretto o meno. Le mie informazioni su questo campo erano molto limitate.

Appena sciogliemmo l'abbraccio, avevamo ancora tutti quegli occhi di sopra, ma non sentivo più disagio o imbarazzo.

I miei nonni si alzarono entrambi e mi vennero ad abbracciare, vidi scendere a nonna Elisabeth una lacrima nelle sue guance rosee, e subito lei fece spuntare uno dei suoi sorrisi dolci e mi contagiò facendo sorridere anche me.

Mio nonno un po' più freddo di lei, ma più dolce di mio padre, mi abbracciò forte e mi disse <Sono felice che tu sia tornata piccola lupa> non sentivo quel nomignolo da anni.

Lui mi ha sempre chiamato così e quando gli chiesi il motivo, mi disse che tendevo a stare sempre per i fatti miei, una lupa solitaria, ma che un giorno sarei diventata una grande alfa.

Chissà cosa penserà quando scoprirà cosa sono diventata oggi, ne sarebbe fiero?

Per il momento preferisco non far sapere del ruolo che ricopro a Los Angeles. Voglio godermi il mio ritorno a casa, anche se un po' turbolento.

Mia madre mi mise una mano dietro la schiena e mi fece segno di sedermi al mio solito posto. Mio padre sta sempre a capotavola come al solito, mia madre alla sua destra, mia sorella Atena alla sua sinistra, seguendo mio fratello Julian, ma io mi sono sempre seduta all'altro capo del tavolo. Sempre lontano, da sola, ma di fronte mio padre. 

Tutti i posti erano occupati tranne quello. Così mi sedetti, e mia madre mi disse <Cara, loro sono i Wolf. Michael e Samantha e i loro figli James, Alexander, Thomas e Daisy> li scrutai molto lentamente, e due occhi mi guardavano con più insistenza rispetto agli altri. Alexander.

Perché mi guarda in quel modo? E perché mi sento così? E come se avesse incatenato i suoi occhi ai miei.

Per riprendermi, mi scossi la testa e ripresi a guardare quello che credevo fosse James, il futuro marito di mia sorella. Non è male, ma devo capire se è una brava persona o meno. Se è uno di cui ci si può fidare o no.

A distogliere la mia attenzione, fu proprio Cindy, la domestica. Lei è stata come una seconda mamma per me. Mi sono legata molto a lei quando ero una bambina.

<Iris?> mi voltai verso quella voce e sfoggiai il mio primo vero sorriso da quando sono entrata in quella casa. <Cindy> e lei si avvicinò e la prima cosa che fece fu accarezzare la mia guancia come quando ero bambina.

Mi si scaldò il mio cuore ormai in putrefazione.

<Cara vuoi che ti porti qualcosa da mangiare? Sarai affamata.> dopo borbotto qualcosa su quanto fossi dimagrita e per farla felice gli dissi di portami qualsiasi cosa da mangiare. E scomparì dalla porta che portava alla cucina.

Finalmente la voce di mio padre rimbombò in tutta la stanza <Dove sei stata per 8 anni?> i miei occhi tornarono subito ai suoi, e percepivo la sua rabbia. Sapevo che l'essere andata via l'avesse ferito, confuso e quanto si fosse preoccupato.

Non si è mai arreso dal cercarmi. Ma non capirebbe. Come potrei dirgli quello che è successo? Come mi guarderebbero tutti quanti?

<Papà non credo sia il momento, se vuoi dopo andiamo nel tuo ufficio e parliamo da soli.> dissi sostenendo il suo sguardo, ma a lui questo senso di sfida lo fece arrabbiare di più.

<Iris Persephone Reed, ti ho fatto una domanda. E voglio una risposta. Ora!> urlò facendo sussultare le donne presenti nella stanza.

Ma ero abituata sin da piccola alle sue sfuriate quindi sapevo quando era meglio ubbidire. <Los Angeles.>

<Cosa hai fatto a Los Angeles?> sta volta lo chiese con tono più basso, perché ha notato lo spavento di mia madre. <Mi sono creata una vita lì.> ma quella risposta fu la goccia che fece traboccare il vaso.

<Una vita? La vita che avevi qua non ti bastava forse? Hai preferito fare la barbona piuttosto che stare qui nella tua casa, con la tua famiglia. >

<Barbona?> stavolta ero io quella che si stava adirando.

<Si barbona. Senza un soldo. Chissà cosa avrai fatto tutto questo tempo lontana da casa.> ma cosa stava insinuando?

Mi sentivo così adirata con lui, da alzarmi dalla sedia e sbattere le mani nel tavolo, e gli occhi di tutti si spostarono su di me sorpresi dalla mia reazione, nessuno aveva mai fatto un gesto con così poco rispetto ma con così tanto coraggio da sfidare mio padre con lo sguardo. <Io ho lavorato. Mi sono comprata la mia libertà. Ho una vita a Los Angeles. Un locale. Una palestra. Dei dipendenti. Delle persone che appena apro bocca mi servono. Dimmi quale barbona ha tutto questo? Ti dà così tanto fastidio che abbia dimostrato che non mi servivano i tuoi soldi per far qualcosa?> sentivo le mie guance andare a fuoco.

Tutti mi guardavano con gli occhi spalancati, come se avessero appena visto un fantasma. <E se hai tutto questo come dici, allora perché sei tornata?>

<Perché otto anni fa, prima di andarmene vi lasciai un biglietto con scritto che appena mi fossi sentita pronta sarei tornata.> dissi con un sussurro di voce. <Sentita pronta per cosa?>

<Per affrontare la vita qui.> dissi abbassando lo sguardo.

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