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Sono sommersa dai libri quando suona il campanello e mi trascino pigramente fino alla porta d'ingresso.
Mackenzie è addormentata sul divano.
Appena apro i miei occhi studio la figura minuta e magra della madre di Brooke.
Non la vedo da anni ma la donna elegante e curata che conosco non ha nulla a che fare con quella davanti a me; il mascara è sbavato e gli occhi rossi dal pianto e dalla disperazione sono terrificanti.
«Signora Robinson» dico preoccupata
«Kelly...si tratta di Brooke» singhiozza.
«Ha avuto un incidente» incurva le spalle e io l'abbraccio per sostenere quella donna così fragile
«Oddio, come sta?» chiedo con le ginocchia molli.
«È in coma... Mio marito ha pena comprato i biglietti per Londra è troppo poco stabile per poterla portare a casa, ne ha preso uno anche per te. Brooke ti vorrebbe lì» dice facendo l'ennesimo singhiozzo.
Mi giro e c'è Mackenzie attenta che studia la situazione.
Ha gli occhi rossi quindi ha capito tutto.
Si alza e si dirige verso la madre di Brooke.
«Salve signora Robinson...sono Mackenzie, un'amica di sua figlia» dice a Gabrielle che fa un segno triste e poi mi guarda «Vieni?»
«Assolutamente» dico
«Ti aspetto giù» mi rigiro e vengo accolta dall'abbraccio di Mackenzie che mi passa il portafoglio con i documenti.
«Vai okay? Io sto qui non ti preoccupare.» mi stringe più forte
«Grazie mille»
«E di cosa» mi passa anche il telefono e io corro giù dalle scale per non dover aspettare l'ascensore.
Una macchina è davanti al palazzo ed io salgo velocemente.
«Ciao Kelly» dice una voce profonda «Salve signor Robinson»
Senza aggiungere altro si dirige a tutta velocità all'aeroporto senza dare peso alle multe che prenderà non aspettando un solo rosso.
In un'ora e mezza siamo seduti sui sedili della prima classe della American Airlines.
Mi mangiucchio un'unghia distrattamente mentre penso alle condizioni della mia migliore amica.
Il coma è una finta speranza, non sei né vivo ne morto, non posso pensare di non avere più Brooke qui con me.
Mi aveva mandato un messaggio sta mattina presto per dirmi che era atterrata ma da allora non la sento.
Le ore passano lente e quando finalmente atterriamo l'ansia inizia ad impossessarsi di me.
University College Hospital di Londra è enorme ed imponente davanti a noi mentre scendiamo dal taxi nero.
Gabrielle sul suo paio di scarpe con i tacchi corre fino all'accettazione.
«Brooke Robinson, è stata ricoverata qui ieri mattina»
«Signora ha un documento?» l'infermiera giovane con l'accento inglese fa un sorriso tirato. Sono le prime ore del mattino e dalla sua faccia non vede l'ora di finire il turno.
«Ecco a lei...» gli passa i nostri passaporti e con uno sguardo distrutto chiede «Dov'è mia figlia?»
«Stanza 143 secondo piano. È in terapia intensiva quindi solo i familiari possono vederla e dato che è maggiorenne solo un certi orari.» dice la ragazza.
Senza dare peso alle sue parole La donna corre verso l'ascensore con me e suo marito dietro.
Il secondo piano è pieno di medici anche se sono le 5 del mattino.
«Sto cercando mia figlia Brooke Robinson» chiede ad un dottore che assume subito un'espressione addolorata «Salve signora, Dottor Foster, mi segua» cammina davanti a noi guidandoci oltre molte stanze.
«Io sono il dottore di sua figlia. Come sa ha avuto un incidente in auto. Anche se dobbiamo ancora capire le dinamiche. Ha avuto varie emorragie e dopo sette ore di sala operatoria si è stabilizzata» si ferma davanti ad una porta chiusa.
«Non è orario di visita ma capisco dato che arrivate dagli Stati Uniti. Lei è la sorella?» mi guarda «No, sono un'amica»
«Capisco ma lei non può entrare» mi fa un debole sorriso di scuse
«Si può sedere di là in zona d'attesa.»  senza protestare mi dirigo verso la saletta e mi siedo.
«Oddio» sento piangere e la signora Robinson urlare e stringo i denti.
Dopo mezz'ora i genitori di Brooke entrano della stanza con i visi bianchi e gli occhi rossi.
«Ha avuto una ricaduta e l'hanno portata in sala operatoria.» spiega.
«Ha tubi che entrano dalla bocca per respirare...una gamba rotta ed è interamente ricoperta di lividi e...» scoppia in un pianto esasperato ed io la vado ad abbracciare «Signor Robinson, lei non è cardiologo?» chiedo
«Si Kelly, ma non posso fare niente essendo un parente» dice infastidito quanto me.
Ci sediamo di nuovo su quelle sedie scomode per quattro lunghissime ore fino a quando il medico di prima entra nella sala vuota ricoperto di sangue.
«Signori Robinson...» inizia a dire e io mio battito accelera «Sono molto dispiaciuto ma il cuore di Brooke non ha sopportato il peso dell'operazione.»
Continua a dire qualcosa e sento distanti le urla disperate di Gabrielle ma io non vedo che nero.
Non me la hanno neanche fatta vedere.
Brooke è morta. La ragazza che ha attraversato l'oceano per aiutarmi è appena morta anche per colpa mia.
Se non l'avessi chiamata alle sette del mattino non sarebbe stata in macchina. È tutta colpa mia.

Respira, respira, respira, respira...

<<mine story>>

Per sempre, scusa IIWhere stories live. Discover now