3. Þorunn

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I nostri pensieri ci feriscono più della realtà.
Le illusioni che ci imponiamo rendono meno ardua la difficile impresa di vivere, ma sappiamo che sono finte. Paradossalmente dunque, ciò che ci aiuta è anche ciò che ci uccide lentamente.
Ivar condensava tutte le sue illusioni in un'unica grande illusione degna di nota: l'arte.
Camminava sorridendo leggermente mentre i suoi passi eleganti risuonavano sul parquet del museo.
Era impeccabile come sempre, vestito di tutto punto, con i capelli perfettamente tirati all'indietro da un po' di gel; l'unica cosa che sembrava stonare in tutta quella precisione era la posizione che assumeva quando si perdeva per qualche secondo ad ammirare le opere che conosceva meglio di se stesso: tutto poggiato solo sulla gamba sinistra, con la schiena eccessivamente dritta, lo sguardo incantato e le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni che gli cadevano morbidi sulle gambe muscolose.
«devo chiederti un favore»
Vincent lo risvegliò un attimo da quel momentaneo stato di catalessi nel quale era finito e gli sorrise per poi pregarlo di cambiare turno con lui, poiché doveva scappare per questioni urgenti che non stette li a spiegargli.

Quando andrea se lo ritrovò di fronte stava per vomitare.
Sentì tutti i bicchieri di tequila sale e limone non digeriti rimescolarsi nel suo stomaco e salire lungo l'esofago.
Era impeccabile come la sera prima, e forse questa perfezione maniacale la infastidiva molto.
Gli occhi cerulei di Ivar misero a fuoco la figura mingherlina di
andrea, la quale si aggiustò un po' la frangetta con le mani facendola ricadere di più sugli occhi color ailanto prima di avvicinarsi, seguita da un cospicuo gruppo di bambini irrequieti.
Non li sopportava i bambini Ivar. Con le loro vocette stridule, le domande stupide e l'incapacità di apprezzare la bellezza. Non che i bambini non sapessero apprezzare le cose, semplicemente non potevano apprezzarle come faceva Ivar, e questo a lui non stava bene.
Lui aveva trovato il modo perfetto per vedere i quadri, lui aveva il modo perfetto per fare tutto. Lui era perfetto. E Ivar avrebbe tanto voluto trovare qualcuno come lui, ma purtroppo non era possibile.

Camminavano in fila per due, tenendosi le manine appiccicaticce ben strette per non far arrabbiare la maestra, anche se in realtà avevano più paura del signore alto accanto a lei che aveva uno sguardo serio e cupo. Ascoltavano in silenzio ogni volta che parlava per spiegare loro qualche opera, e lo faceva con grande bravura, forse era quasi più bravo della maestra andrea.
«vi siete divertiti?» Ivar sorrise ampiamente quando i bambini annuirono contenti. Si sentiva così bene e pieno di vita quando elogiavano il suo lavoro o gli facevano complimenti.
«Bellissima spiegazione comunque, non li ho mai visti così attenti» confessò andrea. Altre lodi. L'ego di Ivar cresceva a dismisura, ma lui infondo già sapeva di essere il migliore.

L'avevano deciso in pochi secondi di uscire a cena quei due.
Si sarebbero visti davanti al ristorante che si trova tra i vicoli del Nyhavn, il porto antico di Copenaghen.
andrea non appena vide Ivar sorrise ampiamente, arricciando il naso come faceva di solito. Portava un vestito rosso piuttosto corto, non aderente, che tuttavia riusciva ad evidenziare le forme del suo corpo asciutto, privo di curve, che la faceva sembrare più bambina di quanto non fosse.
Ivar l'aveva notata quella scintilla d'infantilità in andrea, che sembrava nascondere sotto quell'aria innocente tutta la schietta malizia degli adulti.
Camminarono per un po' per i canali e rifecero la stessa strada dopo aver mangiato, tenendosi per mano. Erano quasi le dieci ed il sole stava ormai per tramontare finalmente. Forse era per questo che Ivar odiava l'estate, non riusciva ad accettare l'idea che la sua adorata notte, che in inverno calava così presto, tardasse ad arrivare per far spazio alla luce fastidiosa e tiepida di quei raggi di sole che a fatica oltrepassavano la coltre di nubi che imperniava il cielo.
«Adoro i tramonti, guarda come è bello» andrea gli strinse la mano e gli sorrise, Ivar la fissò negli occhi ricambiando- o almeno fingendo di farlo. Si specchiò negli occhioni verdi della ragazza e notò che i suoi capelli erano cresciuti un po' troppo e che andavano sfoltiti, e che assieme a loro anche le basette erano diventate troppo folte per i suoi gusti quindi avrebbe dovuto al più presto prenotare un appuntamento dal barbiere. Eppure, nonostante quei difetti si piaceva comunque tanto. Iniziò ad avvicinarsi un po', sporgendo le labbra, nel tentativo di baciarsi ma si ritrasse immediatamente quando capì cosa stava per fare.
«Hai ragione, è bellissimo» le rispose, tentando di non farle notare quello che stava accendendo e andrea si fece un po' di quelle paranoie tipiche delle donne.
Stava per baciarmi? Perché poi si è ritratto? Avevo qualcosa sul viso? No, forse qualcosa tra i denti. Anzi, ha paura. Decisamente. È timido, vuole andare con calma, è uno serio lui, si vede- può essere la volta buona.
E sentì di non essere mai stata meglio.

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