12. (parentesi)

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  Ivar aveva pensato ad Alex per tutto il viaggio, mentre Sara leggeva con la testa appoggiata sulla spalla del fratello.
La fissava attentamente, mentre sfogliava il libro, e si domandava se avesse dovuto confidarle quello che era accaduto o meno.
Le aveva sempre detto tutto, era stata l'unica persona con la quale potesse parlare liberamente chiedendo consigli ma adesso, adesso Ivar non ci riusciva.
Era come se quel momento impuro, condiviso con la copia di se stesso, dovesse restare privata, come i suoi sguardi allo specchio, le carezze che si dava la notte o i lunghi baci a pelo d'acqua.

Ripensò ad Alexander e a come con tanta facilità avesse potuto tradire il marito, e a come lui non fosse stato altro che un gioco, una di quelle esperienze strane che vanno colte al volo perché poi non capitano più.
Ivar aveva immaginato come sarebbe stato baciare Alexander fin dal primo istante in cui i suoi occhi s'erano riconosciuti in quelli del ragazzo, nonostante avesse tentato di reprimere quell'idea malsana e sbagliata di stare con un uomo. Aveva pensato che sarebbe stato finalmente in grado di soddisfare il suo cuore e di trovare l'amore, quello vero, ma s'era sbagliato e se ne era reso conto quando Alex aveva staccato le labbra velocemente, quando non aveva dato peso all'accaduto ed era andato via come se niente fosse.
Ripensò ancora una volta a tutte le sue donne e pensò ad Helga, la loro ex vicina di casa a Copenhagen, una bambina di nove anni paffuta e allegra che bussava sempre a casa loro per giocare con le macchinine assieme a Sara.
Gli piaceva Helga, era una bambina diversa dalle altre, e proprio perché gli piaceva e perché lei sembrava divertirsi con lui un giorno le disse di fare più la femmina, e di non poter giocare con le auto.
Helga la prese così male che scappò via a piangere nel parchetto dietro casa loro, sotto gli alberi, sperando che Ivar andasse da lei e l'abbracciasse, così come faceva quando Sara cadeva per terra e si faceva male, ma rimase da sola a piangere per un bel po'.

«Tutto bene?» gli chiese, con ancora la testa appoggiata sulla sua spalla.
«Sì, sono solo preoccupato» le rispose, togliendole delicatamente il libro dalle mani, mentre Sara ripeteva che sarebbe andato tutto bene perché l'avrebbero affrontato assieme.

«Te lo ricordi quando fumavamo di nascosto?» Sara si accese una sigaretta e aspirò avidamente, passando l'accendino ad Ivar, non appena scesero dall'audi nera, parcheggiata in fretta e senza cura.
«Bei tempi quelli»

Bei tempi quelli.
Quando Sara era piccola, ed Ivar pure. Quando dormivano nella stessa stanza e non c'era mostro del quale avessero paura, perché assieme potevano fare tutto.
Ma adesso, pur essendo assieme, tenendosi per mano saldamente, non riuscivano a percorrere quel corridoio.
La luce bianca, forte, era dello stesso tono delle pareti accecanti, il cui unico colore era l'azzurro sbiadito degli stipiti delle porte delle diverse stanze che erano lì.

La vide seduta con la testa tra le mani sua madre. Che si reggeva il capo a fatica, con gli occhi rossi e i capelli più bianchi rispetto a come l'aveva lasciata tanto tempo fa, quando era andato via per lavoro, e poi non era più tornato. Non la sentiva spesso sua madre Ivar, ma quando la chiamava, stavano ore a telefono, parlando di lui e di come li avesse resi fieri per ogni cosa che avesse fatto.
Le accarezzò la schiena quando giunse accanto a lei, mentre Sara guardava attonita il letto d'ospedale sul quale il padre era steso, con gli occhi chiusi.

«Mamma che è successo?»
Niente.
Piangeva e basta, muta nelle sue lacrime e pietrificata dal dolore che la sgretolava lentamente, nel vedere l'amore di una vita, steso su un letto. Morente.
«Mamma che è successo?» Sara iniziava già a spazientirsi, non aveva mai condiviso l'emotività della madre; era una che andava dritta al punto lei. Che diceva le cose come stavano.
Avrebbe tanto voluto scuoterla per le spalle ossute e urlarle contro, ma si limitò ad accarezzare la mano destra del padre, nella quale erano inseriti alcuni tubi, e a sfiorarne la pelle, ricordando tempi più più lontani e più felici.

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