9. fondamenta marce e ideali irragiungibili

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Le caratteristiche case di Amsterdam, contrariamente a quanto si può credere, non vengono costruite storte di proposito. Le case olandesi sono strette e alte, una forma architettonica che questi edifici continuano ad avere fin dal 1500 circa, in quanto durante quel periodo in Olanda venne approvata una tassa che esigeva il pagamento di un'imposta proporzionale alla larghezza del suolo occupato dalla casa. Gli olandesi, scaltramente, decisero di iniziare a costruire case sempre più strette ed alte, in modo da pagare il minimo possibile su quella tassa.
Su tutte le case vi è un paranco con una carrucola, per sollevare gli oggetti. Per evitare che il carico sollevato urtasse e danneggiasse la facciata, gli edifici vennero quindi inclinati verso l'esterno, ma ciò non spiega la pendenza verso i lati di queste case.
Ivar scoprì, con orrore, che le case olandesi- in particolare quelle ad Amsterdam- sono costruite su palafitte conficcate nella terra paludosa di quella regione e che il legno usato si imputridisce e va cambiato circa ogni due mesi. Le case sono sempre in costante pendenza, e fu anche questo a fargli decidere di scegliere l'Aia come sua nuova casa, o come la chiamavano gli olandesi Den Haag.

Infatti, dopo i primi giorni di stallo, passati a casa della sorella, a tenere bada ad Erik, Ivar era riuscito ad ottenere il trasferimento al Mauritshuis all'Aia.
Inizialmente aveva optato per il museo di Van Gogh ad Amsterdam ma riflettendoci aveva realizzato che ormai Amsterdam sarebbe stata troppo caotica e viva per lui, che avrebbe tanto voluto lasciare tutto e andare nelle cittadine tradizionali- quelle ancora impantanate nelle antiche usanze- come Vollendam o Marken ma dopo aver capito che lì non c'erano opportunità lavorative, aveva ripiegato sull'Aia, che racchiudeva la cultura e la libertà di Amsterdam e la bellezza piccola, da cartolina, di città come Delft o la sua amata Utrecht. Ed inoltre era rimasto fin troppo traumatizzato da quella piccola scoperta sulle case di Amsterdam che aveva deciso, infine, di lasciar perdere.

Pedalava sereno davanti al palazzo reale, passando sull'ampio viale alla destra del canale nel quale, al centro, si ergeva l'imponente museo.
Fiori colorati e ben curati decoravano la ringhiera che correva lungo tutta la strada coperta da quelle che apparentemente sembravano pietre ma che in realtà erano conchiglie.
Posò la bici nel parcheggio del museo e una volta arrivato davanti al palazzo giallo scese le scale, che portavano direttamente sotto la superficie dell'acqua.
Entro e si recò alla reception, dove una donna gli indicò la strada degli uffici all'interno del museo, che trovò senza difficoltà.
Se c'era una cosa nella quale gli olandesi erano bravi, questa era costruire edifici, strade e città nelle quali era facile orientarsi.

«Buongiorno. Sono Ivar, il nuovo responsabile degli allestimenti degli spazi museali e delle mostre temporanee» sorrise ampiamente, estraendo dalla sua valigetta in pelle la lettera di trasferimento che gli aveva preparato gentilmente Vincent.
Un giovane avente la sua età probabilmente alzò gli occhi, staccandoli dallo schermo del computer.
«Ah eccoti» si grattò il capo «ti stavamo aspettando» sorrise cordialmente.
«Io sono Antonio, il responsabile della rete informatica e catalogatore delle opere del museo» continuò parlando con un forte accento italiano e si alzò per stringergli la mano, che Ivar afferrò saldamente.
«Non sei olandese?»
«No, danese. Si sente molto?» rise leggermente e Antonio annuì commentando con un «almeno ora non sono più l'unico straniero»
«Sei italiano, vero?»
«Esatto, ma ormai sono qui in Olanda da circa una anno e mezzo, prima lavoravo nei Musei Vaticani»
«Come mai hai cambiato?»
«Avevo bisogno di lasciarmi delle cose alle spalle»
«Donne?» lo provocò Ivar e lui annuì per poi alzarsi e uscire da quella claustrofobica scrivania, troppo piccola e stretta per una persona come lui, abituata a muoversi e a gesticolare ampiamente, e soprattutto alta circa un metro e novanta.
«Già, donne. E tu invece?»
«Lo stesso»
Si guardarono e risero scuotendo il capo, mentre percorrevano un lungo corridoio, il quale riportava all'entrata principale, dove una miriade di turisti attendevano in fila, pronti per ammirare le opere del museo, che ospitava una delle più importanti collezioni olandesi.
«Per ora non c'è molto da fare, ma sappi che tra una settimana massimo dovremmo allestire una nuova esposizione temporanea, e li ci sarà da lavorare parecchio» gli disse Antonio e Ivar annuì osservando quegli occhi scuri, che brillavano di vita.
«Non ti manca l'Italia?»
«Spesso. Anzi, sempre. Soprattutto quando si tratta di mangiare» rise «poi però ripenso a cosa ho lasciato lì, e no, non mi manca più. Ho ancora bisogno di tempo per riprendermi dalle mie ferite, quando passeranno, sarò pronto a tornare. Per ora, mi godo l'Olanda e la sua libertà, e soprattutto le donne olandesi. Sono fantastiche»
Ivar rise.
«Spero di trovarne qualcuna» commentò e andò via, gironzolando senza alcuna meta, ma con il passo deciso di chi sapeva dove andare, per i due piani del museo.

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