14. muoiono nello stesso respiro, gli amanti.

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C'è un uomo che si porta addosso i segni d'una vita antica e misteriosa, e che porta sulle mani i calli da contadino che sembrano non influire sul tocco delicato che ha quando sfiora le corde di violino.
Il vecchio stava tutto poggiato sul muretto del ponte Carlo, curvato verso destra, con la testa poggiata su quello strumento, come se stesse posando il capo su un cuscino per trovar conforto nelle notti buie. Suonava una canzone strana, che nessuno ha mai sentito, e i turisti si fermavano curiosi a sentirlo suonare e canticchiare sommessamente in ceco, probabilmente rimembrando giorni passati di tempi lontani e avulso dalla frenesia odierna di quella città.

Praga ha il fascino della capitale europea, al passo con i tempi, ma si porta nelle fondamenta il peso della storia e il fardello dell'antichità impressa in ogni pietra e in ogni palazzo aristocratico, magari ora trasformato in un pub per accontentare i turisti.

Ivar camminava e si soffiò un po' di aria tra le mani, portandole poi nelle tasche del cappotto nero per tenerle al caldo.
Il vento danzava tra i vicoli della città e sembrava cantare assieme al violinista solitario di ponte Carlo.
Gli occhi di Ivar scrutavano le ragazze tra la folla che si era creata attorno a lui, e ne notò alcune ma si limitò ad osservarle e passare avanti perché ormai sembrava che non avesse più il coraggio di uccidere.

Ora che aveva assaggiato la sua stessa arma aveva l'amaro in bocca, dovuto ancora al sapore della labbra di Alexander, e alle lacrime versate di nascosto per la morte del padre.
Perché dopotutto anche se non avevano legami di sangue quella coppia l'aveva accolto, e amato. Ma lui non aveva amato loro.

C'era poco da fare ora. Che gli era rimasto? Solo la luna a fargli compagnia, il violinista che suona e il ricordo di quando era ancora integro e distruggeva gli altri.
Aveva un sapore strano e nuovo quello della sconfitta, come quello ferroso del sangue che si insinua nella bocca quando ci si morde le labbra un po' troppo forte. Ivar aveva spinto troppo infondo i suoi denti affilati, maciullando cuori innocenti, ma aveva finito per mordersi da solo.

Faceva tanto freddo a Praga la notte, e l'oscurità era illuminata da luci che tremano.
Ce ne era tanta di gente, che cammina con le mani in tasca per scaldarsi, che cerca rifugio nei pub e si abbandona al calore della birra, tra conversazioni futili e risate un po' troppo chiassose con gli amici.

Ivar amici non ne aveva più, c'era solo Vincent. Appunto, c'era. Perché ormai stava con Eva ed Ivar sapeva di non poterlo disturbare, nonostante fosse ancora consapevole di essere più importante di lei.
Passò le dita tra i capelli, facendo scendere poi il suo palmo sul suo viso, percependo la lana ruvida del suo guanto senza dita, che lo riscaldava quanto poteva.
Dal cielo bianco iniziò a cadere qualche fiocco di neve e Ivar sorrise come non faceva da un po'. La neve lo metteva sempre di buon umore, era un po' come lui. Bellissima, elegante, discreta ma non troppo.

E mentre lei cadeva, Ivar se ne stava seduto sul muretto di ponte Carlo, tutto dritto e fasciato nel suo cappotto nero, mentre si accoccolava nella pesante sciarpa rossa (Vincent gliel'aveva ridata prima di partire come portafortuna).
Non c'era più niente da fare. Si sentì svuotato, perso.
Se la sua presenza gli er bastata per tutta la vita, ora non era più sufficiente.
Senza più elogi, senza più donne, senza più Vincent non era niente.
Un buco nero ha bisogno di continuare a rubare luce alle stelle pur di crescere; Ivar si stava spegnendo, implodeva collassando su se stesso.

Il violinista continuava a suonare e qualche passante gli lasciava delle monete nella custodia del violino, poggiata per terra.
Lo fissò a lungo Ivar e pensò che era diventato quasi come lui: senza dignità.
Cosa spinge un uomo a chiedere l'elemosina? A provocare pietà negli altri pur di sopravvivere?
La consapevolezza di non avere più nulla, e di non poter combattere a testa alta contro una vita che ti schiaccia, che ti sputa negli occhi e poi ti colpisce scaltramente alle spalle, facendoti più male del solito.
Ivar era un ferito irrecuperabile, e pensò di voler morire con dignità, piuttosto che pugnalato alle spalle dalla vita.

"Muoiono nello stesso respiro, gli amanti"
Lo ripeteva da sempre, da quando l'aveva letto. Morire nello stesso respiro. In sincronia. Quale morte più bella di questa? Smettere di respirare nello stesso momento in cui lo fa la persona amata.
Pensò che era proprio una bella notte quella per morire.

Il violinista intonò una melodia grave. Lo stava guardando da quando era arrivato quell'uomo triste ed elegante, che si proteggeva in un cappotto troppo serio e in una sciarpa decisamente sgargiante, che faceva a cazzotti con l'oscurità della notte. Percepì in lui una tristezza strana, una malinconia antica quanto Praga stessa e suonò un canto popolare, tramandatogli da generazioni di violinisti che avevano visto la storia scorrere davanti ai loro occhi.
Vide l'uomo con la sciarpa alzarsi e si rese conto che forse pur essendo un ragazzo ( non mostrava più di venticinque- trent'anni) dentro era forse più anziano di lui, ancora fanciullo nell'anima pura ed innocente.
Ne aveva visti tanti di uomini, ne aveva immaginate tante di storie il violinista, e magari quelle belle gli ispiravano anche qualche melodia nuova.
Tutti hanno una storia, e la tua storia sicuramente finirà bene, ma il violinista pensò che quella dell'uomo, beh, era un'altra storia.
Un'altra di quelle che finiscono male, per intenderci.
Li aveva visti quelli come lui. Quelli che vengono divorati sala tristezza e si uccidono.
Non aveva mai provato a fermarli, perché era convinto che se qualcuno prende questa decisione, deve farlo per qualcosa di serio. Aveva solo cercato di rendere la loro morte più dolce, suonando.
L'uomo con la sciarpa continua a soffiare dell'aria calda nelle mani a coppa, poi si alzò dal muro e si girò verso la luna, dando le spalle al violinista.

«Cosa hai da guardare?» urlò «Te ne sei sempre stata lì tutta la notte, stai ridendo di me? Assieme alle stelle, le tue figlie imperfette. Che avete da ridere? È così divertente un uomo che vuole morire? Io sono un buco nero, quando morirò io, vi trascinerò con me! Questo mondo senza di me non è niente. Niente!
Io sono stato perfetto. Io sono perfetto. Era una gran vita la mia, spazzata via da cosa poi? Da un misero fioraio, un pezzente. Da una famiglia non mia che ha frantumato tutte le mie certezze. Che cosa sono io? Cosa?» si slegò la sciarpa dal collo e la strinse tra le mani piangendo, sporgendosi dal muretto per guardare l'acqua sotto di lui.
«Ho avuto una grande vita. Primo in tutto. Sempre. Voluto da tutti. Sempre.
E sono bello anche quando crollo a pezzi. Sono come le rovine di Troia, come i resti del Partenone, come le ceneri di Pompei.
Questo mondo è troppo piccolo per me»

Salí sul muretto. Il violinista continuava a suonare, fissando in silenzio.
«Ora so cosa gli altri hanno sofferto per me, perché brucio dello stesso amore per me stesso- e come posso raggiungere ciò che amo se lo vedo solo riflesso nell'acqua? Solo la morte può rendermi libero »

Le persone non sono neve, pioggia o foglie d'autunno; non sono belle quando crollano.
Eppure, Ivar riuscì ad essere bello anche quando cadde giù da ponte Carlo.
Nei secondi della caduta chiuse gli occhi, pensando al colore blu delle sue iridi, alle labbra carnose mia baciate, ai suoi capelli castani, morbidi, nei quali passava le dita la notte per consolarsi e accarezzarsi in solitudine.
Non fece male lo schianto con l'acqua; fece male la consapevolezza di non potersi più guardare. L'ultima cosa che cercò con lo sguardo fu proprio il suo riflesso mentre andava giù, mentre smetteva di respirare assieme all'unico amore della sua vita.

AYEEE.
-1 capitolo omg sono così eccitata per il finale.
Mi sento a pezzi per aver ucciso Ivar, ma andava fatto, Sorry

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