1.2. La trappola

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Quando lui arrivò, nel suo smoking buono compratogli dai genitori (evidente segno di una mentalità tipica di Ubis, quella provinciale per cui sfarzoso fa rima con elegante), lei gli si appese al collo scavalcando la polverosa console che Irina, la ragazza più miserabile e alla ricerca di attenzioni dell'intera scuola, un aveva portato per la festa. Mentre affondava il naso nella cavità del suo collo avvertì il tanfo pungente della sua acqua di colonia, ma non fece commenti. Joy si staccò da Rick solo quando ebbe modo di assaporarlo a fondo e di baciarlo sulle labbra provocando uno schiocco che, molti ne erano sicuri, sarebbe stato udito a chilometri e chilometri di distanza. I due si guardarono negli occhi e, senza dire nulla, sorrisero in maniera sciocca e costruita, come se un immaginario fotografo di un altrettanto immaginario set fotografico fosse lì per catturare quel preciso istante. Entrambi la vedevano allo stesso modo e quello era l'importante: essere innamorati equivaleva a condividere tutto con la persona al tuo fianco e loro avevano preso alla lettera questa sorta di dogma sbagliato. Arrivavano e andavano via da scuola insieme, passavano il pomeriggio insieme e i fine settimana erano tutti per loro. Persino le cattiverie che riuscivano a compiere erano una danza sincronica fra i due. Rick pensò che non avrebbe mai più trovato un'anima affine quanto lo fosse Joy, ma lei lo distrasse iniziando a parlare con quella sua vocina sottile, fastidiosa come lo stridere di un ago su una superficie di vetro.

«Ho pensato a tutto» attaccò prendendo per mano Rick, che fu costretta a seguirla in giro per la palestra come una specie di vittima inconsapevole. «Guarda, guarda gli striscioni. Li ho fatti sistemare da quelli del coro e con i fondi della festa ho pagato il catering» indicò tre cattedre messe l'una di fianco all'altra, coperte da tovaglie bianche, con su pietanze che niente avevano a che fare con la buona cucina: fritti, pizze fritte, crocchette fritte. «Ho anche parlato con Thompson, l'insegnante di scienze. Gli ho fatto credere che la sua presenza è importante, ma non sa che ho bisogno di lui perché il preside ha acconsentito alla festa solo in presenza di almeno un membro del corpo docenti che ci supervisionasse».

«Thompson è un cretino» disse Rick sorridendo. «Gli diremo che ce ne staremo buoni e lui ci lascerà da soli»

«Non ci darà alcun fastidio» convenne Joy, luminosa in viso e marcia nell'animo.

Per un attimo si osservarono a vicenda. Rick contemplò i seni sodi di Joy che spuntavano dal vestito senza spalline color perla in fondo al mare, i ciuffi biondi che le accerchiavano i lineamenti mascherati da un trucco pesante che la faceva apparire più vecchia di quanto non fosse; Joy diede un'altra occhiata allo smoking di Rick. Lo indossava perfettamente stirato e stirati erano i suoi capelli scuri, tirati all'indietro con una buona porzione di gel a consentire l'effetto bagnato. Rick sorrise ancora, il suo mento importante sembrò fargli da spalla nel consentirgli un'espressione fiera e dignitosa. Amava Joy, non gli importava di ciò che dicevano le persone attorno a lui e non gli importava niente di apparire come il cattivo della situazione, ma la amava forse più di se stesso? Assolutamente no, niente sarebbe mai stato importante per lui se non avesse avuto a che fare con l'esaltazione di se stesso.

«Per quella cosa...».

Joy lo fissò. «Ah, per quella cosa...» un largo sorrise le si dipinse in volto. «Tranquillo, è tutto pronto».

Quando Emily e Leon arrivarono finalmente alla festa nessuno dei due aveva intenzione di fare più del consentito. Avrebbero preferito non andarci, ma i genitori di entrambi avevano insistito giocando la carta della socializzazione e del rimpianto giovanile, un ritornello che i genitori ripetevano sempre quando volevano casa tutta per loro, forse per sentirsi ancora parzialmente liberi dalle responsabilità anche solo per una sera. Così avevano ceduto e apparivano come burattini senza burattinaio a muovere fili e corde. Dalle casse posizionate accanto alla console era sparata a tutto volume "Turn me on" di David Guetta. Le note ritmate e ridondanti del pezzo fungevano da colonna sonora a quella serata che per Emily non aveva niente di normale. Non era la sua vita, infilata in quella banda di falsi ipocriti senza scopo, non c'era sostanza, né voglia di migliorare, solo un gruppo di ragazzini convinti di essere importanti perché avevano soldi e un qualche livello di popolarità scolastica che, secondo le loro più nude credenze, li avrebbero portati ad avere successo nella vita reale, quella al di là dei banchi di scuola.

Qualcuno Sta Per CadereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora