3.2 Attacco a Ydes

161 16 10
                                    


Ydes aveva segnato ben tre gol, nell'allenamento della squadra della scuola. Quando mise piede negli spogliatoi i compagni di squadra, giovanotti sudaticci in biancheria intima e sudore sul primo strato della pelle, lo accolsero con uno scrosciante applauso.

«L'uomo del giorno!» disse Jerry, il portiere, un tipo dai capelli rossi rasati, alto più di ogni membro della squadra. «Non avrei potuto prendere quei palloni nemmeno volando, ci porterai alla vittoria nella partita di domenica, Ydes!».

«E poi porterò alla vittoria anche tua madre!».

Jerry scoppiò a ridere e diede una pacca amichevole sulla spalla di Ydes. «Brutto figlio di troia!» lo apostrofò scherzosamente.

Qualche minuto dopo lo spogliatoio era vuoto. Ydes era da solo, appena uscito dalla doccia, con un asciugamano a fasciargli il ventre e il corpo tonico scintillante, ancora umido, sotto le luci al neon dello spogliatoio. Le chiavi dello stanzone erano sulla panca alle sue spalle: per ordine del mister avrebbe dovuto chiudere lui. Prese il pallone con cui aveva segnato i tre gol nell'allenamento di poco prima e se lo rigirò fra le mani sorridendo con aria soddisfatta. La finale di coppa avrebbe avuto un unico mattatore e quel mattatore sarebbe stato lui, Ydes Gorell. Top player, fenomeno, il tuono d'ebano della scuola.

Fu distolto.

Una strana sensazione che gli fece percepire dell'amaro in bocca e un disgusto allo stomaco, come se avesse lo stomaco chiuso da qualche incidente occorsogli. Ma non gli era accaduto niente e probabilmente la sua dieta faceva l'effetto di farlo sentire più a digiuno che ben nutrito. Un rumore, indistinto. Un piccolo rumore di graffi vicino alla porta dello spogliatoio. Pensò a un animale.

"Un sacco di cani vagabondi del cazzo, in questa città" pensò mentre si infilava la t-shirt.

I graffi crebbero, sempre più intensi, contro la porta dello spogliatoio. Ydes infilò boxer e jeans, allacciò la cintura dei pantaloni e afferrò il mazzo di chiavi per uscire e controllare che diamine di cane rompipalle gli stesse chiedendo del cibo alle otto di una sera tanto fredda quanto secca. Si avvicinò alla porta dello spogliatoio, qualche verso sembrò destabilizzarlo. Non sembrava più un cane, piuttosto un animale da campagna, qualche animale selvatico scappato dalle fattorie fuori città. Ydes infilò la chiave nella toppa e girò. La porta si aprì con un cigolio leggero.

Dinanzi a lui un rottweiler nero e marrone, con una macchia bianca sul muso.

Un bel cane, che lo fissava con un'espressione innocua. Gli abbaiò un paio di volte.

«Non ho cibo per te, bello» gli disse Ydes passandogli accanto. Il cane si scostò e Ydes poté chiudere a chiave la porta dello spogliatoio. L'attaccante della Ubis imboccò la via del parcheggio per prendere il suo scooter, ma il rottweiler non smetteva di seguirlo. Quando fu sullo scooter, in procinto di mettere in moto, fissò ancora quel cane.

«Te ne vuoi andare? Non ho cibo!» gli urlò.

Il cane non reagì.

«Ora me ne vado» mise in moto e il rombo del rumore fu come un interruttore per la follia. Gli occhi del rottweiler, lo avrebbe giurato su qualsiasi cosa avesse di caro, si accesero di un rosso carminio che ebbe l'effetto di farlo sobbalzare. Riuscì solo a farfugliare qualcosa, poi il cane gli saltò addosso con una ferocia tale da farlo urlare. Ydes non urlava spesso: gli capitava di farlo solo in campo, in direzione dei suoi compagni nell'occasione in cui sbagliavano il passaggio per servirlo, o all'indirizzo di un avversario che le aveva provate tutte per fermarlo e che per toglierli il pallone era ricorso al fallo. Il cane lo morse una volta al volto, un morso abbozzato, che però lo fece urlare ancor di più. Le fauci del rottweiler tolsero dalla guancia di Ybes una fettina di pelle sottile. Ydes provava dolore, un immenso dolore, ma quello che il cane stava per fare l'avrebbe chiuso nel circolo dei depressi per sempre. La foga del cane sembrò assestarsi, per un momento, dopo che ebbe rovinato il volto del giovane, sembrò celebrare la sua rabbia cieca. Ma poi i suoi occhi rossi, quegli occhi innaturali, si accesero di più, di una rabbia cieca e maldestra che avrebbe portato alla fine. Ydes capì un secondo prima ciò che il cane stava per fare. I muscoli tesi dell'animale, pulsanti sotto il pelo liscio e corto, balzarono in direzione del ragazzo. Il cane morsicò prima il ginocchio sinistro, poi il destro, morsi feroci, che fecero scoppiare in lacrime Ydes e provocargli un urlo sordo, quasi assente, che però aveva in sé tutto il dolore di chi sa che non avrebbe mai più potuto giocare. Il cane continuò e continuò ancora, accanendosi sui polpacci, morsicandoli appena e lasciando segni evidenti dei denti.

Quando ebbe finito si allontanò e di Ydes, il re del calcio di Ubis, rimase solo il corpo singhiozzante di un ragazzo che per sempre era stato costretto a rinunciare alla sua aspirazione, quella di diventare un campione.

Il mondo del web le aveva voltato le spalle e lei non riusciva a capacitarsi. Emily era seduta di fronte al suo pc, al buio, nella sua stanza, con la luce bluastra del monitor insinuata nei lineamenti da bambina troppo cresciuta. Aveva avuto l'impulso di cercare informazioni sul nipote di Mister Look. Nicholas doveva essere un gran bravo ragazzo, probabilmente un tipo a posto com'era lei e com'era Leon. I bulli poi l'avevano preso di mira, svilendolo ogni giorno di più, svuotandolo del senso di vivere, finché lui non l'aveva fatta finita, togliendo loro l'impegno di gettarlo un po' più a terra ogni giorno di più. Quando digitò sulla barra bianca del motore di ricerca il nome Nicholas Kopenski, mentre aspettava il caricamento della pagina web e che la sua connessione diventasse più normale di quanto non fosse, pensò agli occhi di Mister Look. Dal primo incontro quello stranissimo vecchio era cambiato radicalmente, non nell'aspetto, però nel modo di fare. Quando le aveva urlato addosso spaventandola, quasi aveva avuto l'impulso di correre via e solo i nervi saldi che si era prefissata di avere l'avevano salvata. Quell'uomo era comunque strano, non riusciva a vederci chiaro, ma era sicuramente strano.

La pagina web restituì i risultati più disparati: un pittore di nome Nicholas Kopenski, residente a Los Angeles e che si occupava di quadri di pop art ispirati a capolavori, la ditta di giocattoli Kopenski di cui la pubblicità in televisione frastornava tutti a causa di un jingle a volume altissimo, un Kopenski – di nome Mark – nello Utah. Nessuna informazione su Nicholas Kopenski. Iniziò a mordicchiarsi le unghie già ridotte all'osso della mano destra. E se Nicholas non fosse mai esistito? Se quel vecchio si fosse inventato tutto per sfogare la sua furia omicida su ragazzi adolescenti? Forse era complice di aggressioni inconsciamente. Emily accusò una vampata nelle orecchie e il suo sguardo si posò sul libro che aveva sul comodino ormai da settimane. Avrebbe dovuto restituirlo da lì a tre giorni, ma non aveva voglia di leggere le restanti cinquanta pagina. Il viso di Dan Brown spuntava dal retro della copertina, così come il segnalibro con il logo ufficiale della biblioteca di Ubis, un airone con intorno al collo un ciondolo a forma di U in maiuscolo, spiccava dalle pagine bianche.

La biblioteca. Forse lì avrebbe potuto trovare qualcosa di interessante e di stimolante su Nicholas Kopenski. Forse lì avrebbe trovato la verità. Kopenski poteva essere racchiuso in qualche annuario scolastico detenuto dalla biblioteca comunale o in qualche vecchia foto risalente all'archivio storico delle immagini relative alla città.

ܖ]t;S[>U$

Qualcuno Sta Per CadereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora