4.3. Rabbia

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Jim era entrato nel minuscolo bagno della sua stanzetta d'ospedale da nemmeno trenta secondi, quando un disgusto palesato allo stomaco iniziò a farsi vivo. Non mangiava nulla da tre giorni circa, il cibo di quel posto era qualcosa di indescrivibile, sciapo e annacquato. La sua stazza, che scorreva fra un'altezza normale e un peso spropositato, stava subendo quella strana dieta. L'attacco di quel corvo in camera sua non poteva essere stata una coincidenza. Jim lo sapeva bene, mentre i suoi genitori e i suoi amici cercavano di minimizzare il fatto nascondendosi dietro la montagna delle coincidenze. Un corvo. In camera sua. O meglio, un corvo feroce in camera sua. Che se la prende con lui per non precisati motivi. Lo becca fino a farlo sanguinare, a ferirlo. Tre giorni erano passati e Jim aveva iniziato a soffrire di attacchi di panico, prontamente sventati con dei calmanti somministratogli dalle pronte infermiere che accudivano il reparto. Nella sua camicia bianca da ospedale lunga fino alle ginocchia, Jim approfittò dell'assenza del suo logorroico compagno di stanza – un anziano signore che raccontava di essere sopravvissuto a tutte le guerre che il mondo avesse visto – per andare a svuotare la vescica. Si richiuse la porta alle spalle e iniziò. Quella sensazione di disgusto allo stomaco lo assalì quasi subito, le viscere iniziarono a contrarsi e un conato di vomito ustionante gli si assestò in gola. Jim lo ricacciò indietro, cercando di trattenersi dal dare di stomaco in quell'angusto bagnetto. Ma la sensazione di dolore allo stomaco permaneva, permaneva eccome e Jim era in difficoltà sotto il piano psicofisico.

Un rumore sordo.

Un passo strano, leggero, deciso. Jim pensò a una delle infermiere o a quel rompiscatole che occupava la stanza con lui. Forse era uno dei suoi amici tornato a trovarlo. Forse era semplicemente Ydes, che era stato ricoverato per aggressioni sospette da parte di un rottweiler – e Jim aveva mandato a monte tutte le ipotesi relative alle conseguenze, quando aveva scoperto ciò che era successo all'attaccante più forte della città – dalla stanza di fianco. Terminò di fare ciò che doveva, pigiò sullo scarico, ascoltò il whoosh dell'acqua lavare il fondo del water, poi aprì la manopola dell'acqua calda del lavandino e iniziò a sciacquarsi le mani con l'ausilio di un sapone liquido dall'odore alla violetta. Poi si ritrovò di fronte lo specchio e lì contemplo la sua immagine riflessa. Gli era cresciuta una barbetta castana dallo stile caprino sotto il mento, un po' di barba gli si era depositata anche sul mento e i capelli, lunghi fino alle orecchie, apparivano luridi e umidicci. Jim si diresse all'esterno del bagno. Fu in quel momento che lo vide.

Un vecchio, dagli occhi quieti, lo osservava in giacca e cravatta, a braccia conserte.

«Salve» disse Jim.

«Salve» rispose il vecchio.

Jim si diresse verso la sedia accanto al letto e si accomodò. «Se cerca il suo amico sappia che è in giro».

«Cerco te» rispose il vecchio.

«Me?» Jim era incredulo. «Ci conosciamo?».

«No, ma non ti dimenticherai mai di me» e così dicendo Mister Look estrasse dalla tasca della giacca un pugnale.

Non colpì Jim in modo convenzionale, semplicemente il pugnale iniziò a fluttuare nell'aria come un fenomeno da poltergeist e andò a trafiggere l'addome di Jim, torcendogli la carne e nutrendosi del sangue dello stomaco.

«Qualcuno sta per cadere» bisbigliò il vecchio.

La casa di Emily era avvolta da un incendio indescrivibile, una maxi onda rossastra di fuoco avvolgeva l'intera villetta suscitando l'attenzione di curiosi e reporter locali. La ragazza, suo padre e sua madre erano riusciti a precipitarsi fuori prima che la situazione degenerasse, ma la villetta residenziale era inabitabile. Mentre tre vigili del fuoco armati di pompe elettriche da cui fuoriuscivano potenti fasci d'acqua cercavano di attenuare le fiamme, un poliziotto dall'aspetto di un novellino, con ancora l'acne giovanile sul volto, interrogava il padre di Emily, Warren Hollington.

Qualcuno Sta Per CadereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora