XI

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«Basta non ne posso più!», urlai, sperando che quei idioti mi sentissero. Erano giorni, o forse era passata una settimana, che stavo letteralmente impazzendo.

Il mio corpo si nutriva con del semplice pane che mi consegnavano quando meglio gli piaceva e nessuno mi rivolgeva la parola. Il suo piano era quello di farmi impazzire? Ci stava maledettamente riuscendo!

Dei miei genitori nemmeno l'ombra, mai si erano messi in contatto con me e mai avevo sentito del trambusto al di fuori della stanza, segno di un possibile attacco. Aveva ragione? Davvero il posto in cui mi trovavo era introvabile?

La magia di mia madre non poteva raggiungermi?

Ogni giorno faceva sempre freddo e rischiavo di morire assiderata, non sentivo più le dita delle mani e dei piedi. Non capivo da dove provenisse tanto freddo, ma udii un coro di angeli bearmi le orecchie quando vidi il solito uomo entrare ed accendere il camino presente in stanza; era piccolo, ma almeno mi avrebbe permesso di riscaldarmi.

«So che non mi risponderete, ma voglio parlare con Damon», era forse la fame a farmi parlare? Forse.

Lui mi lanciò una semplice occhiata ed uscì dalla stanza. Iniziai seriamente a pensare che fosse muto.
Mi misi seduta davanti al fuoco ed allungai le mani verso questo. Un leggero bagliore, però, mi fece puntare lo sguardo sul bracciale che avevo al polso.

Come un illuminazione divina, mi arrivò un brillante flashback:

«Devo tenerlo per sempre?», chiesi.

«Si tesoro mio, io e tuo padre ti abbiamo già spiegato che sei tanto forte e i tuoi poteri sono percepibili a distanza. Vogliamo proteggerti, non tutte le persone che ci circondano sono fedeli.»

«Si, lo so, mi piace, è del mio colore preferito!»

«Ricorda una cosa fondamentale, però, se sarai in pericolo, allunga la mano verso una fiamma di fuoco fino a farlo aprire. Brucerà un po', ma almeno permetterà alla mamma di essere sempre al tuo fianco», aggiunse mio padre.

«Non sarò mai in pericolo, perché tu sarai sempre accanto a me per proteggermi», mi lanciai sulle sue ginocchia e lo strinsi tra le mie braccia.

Un nodo alla gola mi riportò alla realtà e, mettendomi in ginocchio, allungai il braccio verso il fuoco. Quel braccialetto era la mia unica speranza, togliendolo avrei liberato tutti i miei poteri e mia madre avrebbe potuto rintracciarmi più velocemente. Sperai solo che Damon non se ne accorgesse, era anche lui un ibrido, quindi sicuramente avrebbe fiutato qualcosa di diverso in me.

Strinsi gli occhi e i denti, quando il fuoco raggiunse la mia pelle e il braccialetto iniziò a brillare con una fioca luce. Quando lo vidi aprirsi con un unico scatto, ritirai la mano e me la strinsi al petto.

In un nano secondo il cuore iniziò a pompare più velocemente e nelle vene avvertivo un flusso che viaggiava con maggiore velocità, fino a pizzicarmi sulla pelle.

Sentivo in me quella forza che tanto amavo, i cinque sensi si moltiplicarono e mi fu possibile udire delle voci molto lontane da me, ma comunque in casa e non al di fuori.

Sospirai estasiata e, nello stesso momento, la porta si aprì. Voltai lo sguardo verso essa e vidi Damon entrare. La chiuse alle sue spalle e si fermò, fissandomi intensamente. «Cosa vuoi?»

«Dovrei farti la stessa domanda.»

Chiuse gli occhi in due fessure, «cosa ti avevo detto riguardante alle regole?»

«Damon sai meglio di me quanto sono cocciuta e non ti darò mai del voi. Tu vuoi negarlo, ma in passato-»

«Si, lo so», mi interruppe. «Alzati e vieni qui», indicò il punto davanti a sé.

Solo una scema lo avrebbe assecondato, eppure io mi alzai e camminai in avanti, fino a fermarmi a pochi metri da lui. «Cosa vuoi fare? Farmi restare in eterno qui?»

«Puzzi da far schifo», fece una smorfia.

«Colpa tu che tratti in questo modo i tuoi ospiti», incrociai le braccia al petto.

«Non sei mia ospite, sei mia prigioniera, mettitelo bene in testa.»

«Ripeto: cosa hai intenzione di fare?»

Mi sorrise sgarbamente e, afferrandomi un braccio, mi incitò a camminare verso la porta. Voleva farmi uscire? 

«Hai ragione: sei maledettamente orgogliosa. Stai tranquilla, vedrai che gradirai il tuo nuovo compito», sghignazzò.

Dieci minuti dopo

«Che diavoleria è mai questa?», chiesi, afferrando con entrambe le mani il collare di cuoio, ma quando queste vennero a contatto, una potente scarica mi paralizzò il corpo.

«Ti consiglio di non provare a toglierlo, potresti rimanerci stecchita. Siccome sei il mio legame, hai  il dovere di eseguire ogni mio capriccio e se non lo farai, io tornerò questa cordicella», poggiò la mano su di essa, «e tu soffrirai. Ad ogni tirata la scarica sarà maggiore, bell'idea vero?»

Sgranai gli occhi, «tu sei malato! Non ti riconosco più!!»

Chiuse gli occhi e la tirò, una potente scarica mi invase il corpo, costringendomi a genere dal dolore e a piegarmi in due. «Da oggi in poi ti consiglio di portarmi il dovuto rispetto.»

Due giorni dopo

Se pensavo che vivere una settimana in quella camera da sola fosse l'inferno, mi sbagliavo. Quello era un inferno: dover obbedire a tutti i suoi ordini, inginocchiarmi a lui ed essere trattata come un cane!

Nelle prime ventiquattro ore avevo provato a non obbedirgli, a farmi valere, ma quando il dolore proveniente dalle scariche era diventato insopportabile, io stessa ero calata davanti ai suoi piedi.

La mia dignità veniva calpestato dai suoi piedi, ma non mi sarei arresa, mai! Dovevo solo dare del tempo al mio corpo e poi sarei ripartita all'attacco.

Dopo avergli servito del liquido rosso, probabilmente sangue, mi diressi verso il mio letto. Condivevamo la stanza, ma anziché dormire su un comodo letto, mi toccava una sporca coperta. La puzza era aumentata e mi davo la nausea, i vestiti non li potevo più considerare tali e i capelli...non volevo nemmeno vederli dallo specchio.

Mi rannicchiai su me stessa e mi spostai davanti al camino, prendendo immediatamente sonno.

Mi trovavo nella mia camera, circondata dalle bambole di porcellana e dai miei libri. Il piano e il violino erano acconto a me e sorrisi ad osservare ciò che mi era familiare.

Era bello sognare la mia casa, poiché la speranza di tornarci spariva sempre più, ma una voce, una bellissima voce, mi fece voltare ad occhi sgranati.

«Jane!!»

«Madre?»

Sentimenti Mai ProvatiWhere stories live. Discover now