XIX

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Sedevo in veranda e inclinavo il viso ogni qualvolta leggevo un passo che non amavo.
Pian piano stavo riacquistando la mia routine, era passata una settimana dal o ritorno a casa. La avevo passata a leggero, suonare il piano e fare passeggiate nei giardini.

La musica, colei che amavo di più, non riusciva più a rallegrarmi. Suonavo brani tristi, pieni di disperazione e di urla verso un uomo che non avrei mai più rivisto. Leggevo classici nella biblioteca di mio padre, libri che avevo sempre disprezzato, ma che in quei giorni mi avevano tenuta compagnia.

I miei genitori non mi lasciavano un po' di privacy, erano sempre con un occhio verso di me, osservavano ogni mio movimento, ogni mia espressione.
Le ore, i minuti, sembravano non passare mai. Rifiutavo di essere arricchita con bei vestiti, gioielli e tant'altro; preferivo indossare abiti scuri, senza balze, senza vita.

Terminai un'altra pagina e, nel momento in cui stavo per alzarmi, un ombra mi raggiunse. Alzai il viso dal libro e vidi colui che meno mi sarei aspettata: Adrien.

«Buon pomeriggio», disse con un inchino.

«Adrien...», sussurrai, «non vi ho visto in questi giorni.»

«Mi dispiace non avervi dato il bentornato, ma vostro padre mi aveva affidato una missione.»

«Missione?», chiesi, aggrottando la fronte.

«Si, per il popolo, purtroppo una delle case per gli orfani è stata abbandonata per pericolo e noi li abbiamo aiutati a trovare loro delle famiglie temporaneamente.»

«L'importante è che tutti stiano bene.»

«Certo», annuì, sedendosi accanto a me. «So per certo che è una domanda scontata e che in molti ve l'anno posta, ma state bene? Se volete un po' di compagnia sono a vostra disposizione.»

«Si... Si, avrei bisogno di un po' di compagnia, chiederò a mio padre-»

«Non dovete chiedere nulla, prima di venire qui mi ha parlato», mi interruppe.
Annuii e mi portai il libro in grembo, era lì semplicemente perché mio padre lo aveva costretto? O era lì per sua volontà?

Decisi di acconsentire alla seconda, volevo credere che volesse davvero passare del tempo con me, infondo in passato mi aveva invitato più volte a passare del tempo con lui; sperai vivamente che la mia compagnia fosse gradita.

«Perfetto, avete altri incarchi da seguire oggi?»

«No, per oggi ho terminato, se volete possiamo andare in paese o fare qualsiasi altra cosa.»

L'idea di andare in paese non mi entusiasmava, ma nemmeno di restare a casa. Cercavo di riprendere la mia vita in qualsiasi modo, anche il più stupido, ma proprio non ci riuscivo. Ogni giorno pensavo a Damon e speravo che non fosse stato attaccato e, quindi, ferito gravemente. Alcune notti lo sognavo, quei sogni sembravano così realistici, nessuno dei due parlava, ci limitavamo a passare del tempo nella casetta in legno che noi stessi avevamo costruito. Anche solo rivedere il suo viso, mi faceva desiderare di poter dormire ogni ora del giorno. 

Avevo provato a percepire la sua posizione, o i suoi pensieri, ma sapevo che  quest'ultima era impossibile; mia madre mi aveva esplicitamente detto che bisognava avere un legame ben potente per riuscire a farlo e noi non c'è l'avevamo. Avevo, inoltre, convinto i miei genitori a non sigillare i miei poteri e la mia natura; una piccola parte di me, mi diceva di non farlo. Avevo quindi dovuto imparare a nutrirmi di sangue e mai di anime, o di cibo. 

«Jane?»

Sobbalzai al suono di quella voce, ancora una volta ero caduta in uno dei miei monologhi interiori. «Scusatemi.»

«Non dovete scusarvi, posso capire che la vostra situazione non è delle migliori, se non volete-»

«Accetto di venire in paese con voi», lo interruppi. 

«Siete sicura?»

«Sicurissima, abbiate solo la pazienza di attendere un paio di minuti; non posso venire in paese con indosso questo vestito», cercai di ridacchiare, ma ne uscì un suono anomalo e mai sentito prima di allora.

«Vi attendo nel salone», annuì e si alzò, lasciandomi da sola. 

Ritornai in camera mia, non prima di aver chiamato Sophia per un aiuto. Lei, a differenza mia, era molto entusiasta. Mi proponeva abiti su abiti, di tutti i tipi, ma la mia intenzione non era di certo apparire bella, volevo essere almeno presentabile dinanzi al mio popolo. Lasciai i capelli sciolti, le morbide onde mi ricadevano lungo la schiena e le ciocche sul viso erano state alzate con dei fermagli. Il vestito che indossavo era verde scuro, con ricami in oro, nulla di sfarzoso, ma abbastanza carino. 

Sulle scale che conducevano al salone, incontrai mia madre. «Adrien ha avvisato me e tuo padre della vostra... Come potrei definirla? Uscita d'amore?»

«Madre per favore, cerco solo di andare avanti e se lui può aiutarmi... Allora passerò del tempo in sua compagnia.»

Forzò un sorriso, «lo so piccola mia e sono orgogliosa di te. Sai, però, che non mi dispiacerebbe avere un nuovo membro della famiglia.»

«Cosa?», aggrottai la fronte. 

«Si... Lui, come promesso sposo.»

«Santo cielo, madre no! Con lui mi sento a mio agio, ma-», mi fermai e abbassai lo sguardo verso il tappetto rosso, «ma per ora il mio cuore appartiene ad un'altra persona.»

«Finalmente lo hai ammesso, ad alta voce addirittura. Non dirlo a tuo padre, ma-», si avvicinò al mio orecchio, «sperò che un giorno ritornerà.» 

«Lo sperano tutti.»

«No, io lo spero per te e per il tuo cuore.»

Spazio autrice:

Scusate, dovevo aggiornare ieri, ma tra scuola, lavoro e i problemi con Wattpad dal cellulare, non sono riuscita ad aggiornare. Questo è solo un capitolo di passaggio, dove Jane "prova" ad andare avanti ect. IL CAPITOLO NON E' ANCORA CORRETTO, LO CORREGGERÒ' DOMANI. Vi aspetto nel prossimo capitolo.

Sentimenti Mai ProvatiWhere stories live. Discover now