Capitolo XVI

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Roma, 16 febbraio 1918

Era dal 1914 che tutta Europa sperava che la guerra finisse; quel conflitto che doveva essere "lampo" era durato per quattro anni, ma il motivo reale per cui finì non se lo sarebbe mai aspettato nessuno: la febbre spagnola.
Le terribili condizioni in cui versavano i soldati rintanati nelle trincee ad aspettare il nemico avevano favorito la diffusione di quel virus devastante, che aveva mietuto più vittime della tubercolosi e del vaiolo messi insieme: i Berardi e i Ghisoni furono i primi a farne le spese.
Il primo a manifestare i sintomi della spagnola fu Marcello, il quale, sebbene fosse sempre stato un ragazzone di un metro e novanta centimetri, era stato letteralmente abbattuto dalla malattia, portandosi appresso anche la moglie Elena.
La morte dei due giovani coniugi fu l'occasione, per le rispettive consuocere, di seppellire l'ascia di guerra: prima del funerale, la contessa Maria Ghisoni bussò alla porta della dependance di Palazzo Solari.
<< Contessa... >> la salutò Delia. Aveva pianto tutte le sue lacrime per la sua figlia minore, e la donna determinata che era un tempo sembrava ormai un lontano ricordo.
<< Sono venuta per porgervi le mie scuse per come mi sono comportata nei confronti di vostra figlia. Non ho mai avuto troppa stima di lei, ma mi sbagliavo. È stata così vicina al mio povero Marcello, fino alla fine... >> replicò Maria, ma il pianto l'assalì alle ultime parole pronunciate.
<< Forse non era propriamente amore, quello che c'era tra Elena e Marcello. Ma mia figlia aveva imparato a volergli bene, a volergliene per davvero... >> commentò la Berardi, anche lei commossa.
Furono raggiunte subito dopo da Alessandro Berardi e da Nadia: erano entrambi vestiti a lutto e gli occhi rossi per aver pianto tanto.
<< Contessa Ghisoni... >> la salutò l'amministratore delle terre dei Solari.
<< Signor Berardi, signorina Nadia... Nonostante la situazione mi fa molto piacere vedervi! >> rispose la contessa.
<< Vogliamo andare tutti insieme? >> propose Delia.
La contessa Ghisoni accettò, e tutti si diressero con la carrozza fino alla chiesa dove si sarebbero svolti i funerali.

                                    ***

La contessa Negroni decise che la veglia funebre si sarebbe svolta a Palazzo Solari: non aveva mai potuto soffrire la cugina Maria e le sue lamentele, mentre temeva Delia Berardi e tutte le informazioni che sapeva sulla loro famiglia, ma intendeva tenersele buone, specialmente in una situazione grave come il loro lutto.
Alcuni membri dell'aristocrazia erano ancora al fronte, come Daniele Mazzanti e Renato Giardini, ma la maggior parte degli uomini erano tornati a casa: Aristide Solari aveva ripreso il suo posto accanto alla sorella; Armando, che nonostante fosse affranto per il fratello era comunque sollevato di essersi ricongiunto alla moglie Rosa e ai bambini; Filippo si era ricongiunto con Francesca e i loro ragazzi, i quali ormai stavano crescendo; Emilio Marconi si stava rendendo conto che il suo matrimonio era ufficialmente finito: Lucia parlava fitto con Oreste Belfiore, presto sarebbero convolati a nozze.
Si avvicinò a Teresa e Greta, le quali erano sedute sul divano a ricordare la buonanima di Elena.
<< Era una cara ragazza, forse un po' audace, ma le volevo così bene... >> sospirò la Giardini, trattenendo a stento le lacrime.
<< Sono convinta che Dio abbia accolto a braccia aperte la sua anima e quella di Marcello... >> la rassicurò la Solari, prendendole la mano.
<< E ditemi, care signore. Se Dio è grande, allora perché permette che gli uomini si facciano le guerre, che un'epidemia si porti via una giovane coppia nel giro di qualche settimana o che un matrimonio vada in pezzi? >> si intromise il giovane conte Marconi.
Da quando era tornato da San Pietroburgo, il comunismo l'aveva fatto diventare ateo.
<< Emilio, ti prego! Ti sembrano discorsi da fare durante una veglia funebre, davanti ai Berardi e ai Ghisoni? >> saltò su Teresa.
<< Perché, cosa c'è di falso? Intendete continuare ad avere i paraocchi anche davanti all'evidenza? >> la sfidò Emilio, indicandole Lucia e Oreste. La giovane Negroni non aveva una buona cera, ma sorrideva comunque al suo futuro marito.
<< Da quando sei tornato da San Pietroburgo non ti riconosco più. Davvero, mi chiedo se i russi non si siano tenuti il vero Emilio e ci abbiano mandato a Roma un cosacco bolscevico! >> si lamentò la principessa, allontanandosi subito di lì.
Emilio rimase da solo con Greta.
<< Mi dispiace per la reazione di Teresa. È che proprio non riesce a capire questo tuo cambiamento... >> cercò di spiegare la ragazza.
<< Non la giudico, ha le sue convinzioni. Ma il punto è che questo nostro vecchio mondo immobile avrebbe bisogno di una scossa, ma una scossa vera... >> sentenziò il giovane, continuando a fissare Lucia e Oreste.
<< L'ami ancora? >> chiese Greta.
Emilio guardò la sua interlocutrice: avrebbe voluto dirle che aveva sempre amato solo lei, e che Lucia era stata solo una sbandata, un incidente di percorso.
<< È che mi rendo conto di aver buttato tre anni della mia vita >> disse invece. Era comunque una mezza verità.

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