Epilogo

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Roma, 22 ottobre 1922

Le nuvole riempivano il cielo della Capitale, colorandolo di grigio: sembrava una tipica giornata d'autunno, con le foglie gialle che si staccavano dagli alberi e l'odore di pioggia che avrebbe permesso ai funghi di spuntare, nella campagna suburbana.
Ma qualcosa incupiva l'umore di Emilio Marconi, ormai sposato da quattro anni con Greta Solari, la donna che aveva sempre amato; i due avevano avuto quattro figli, chiamati come le persone che non c'erano più ma che erano rimaste nei cuori dei due coniugi: Giuliano, Renato, Emma e Isabella.
<< Proprio non riesci a non pensarci? >> domandò la contessa Marconi, avvicinandosi a suo marito, che stava guardando fuori dalla finestra del soggiorno.
<< Come faccio a non pensare al fatto che un pazzo montato decida di sfilare con le sue squadracce di bulli? >> le fece presente questi, riferendosi a Mussolini e alle sue camicie nere, che in quel momento effettuavano la Marcia su Roma.
<< La cosa più assurda è che Filippo e Francesca sono diventati immediatamente suoi seguaci... >> rifletté la ragazza, riferendosi al fratello e alla cognata, tornati da New York due anni prima.
<< Sono due criminali, non potevano far altro che allinearsi a questo... fascismo. Che fa anche un uso improprio dei termini dell'Antica Roma >> ammise lui.
<< Dicono che la voglia riportare alla luce... O la ribalta ha dato alla testa a quell'uomo? >> chiese lei, ricordando la mania dell'ex direttore del giornale "Avanti!" per la Roma degli imperatori, da quando si era lanciato in politica.
<< Sono tutte fandonie. Benito Mussolini porterà l'Italia sull'orlo dell'abisso. Te lo dico io... >> confermò il giovane conte.
Sua moglie lo abbracciò, cercando di stargli vicino: essendo Emilio un comunista, aveva abbracciato una strada difficile, che presto sarebbe stata l'opposizione. Ma Greta gli sarebbe rimasta accanto, anche nell'ora più buia.

                                     ***

La macchina dove viaggiavano Alessandro e Delia Berardi arrivò nei pressi del cancello di Palazzo Belfiore, dove Nadia e Oreste li attendevano, insieme alla contessa Maria Ghisoni, ad Armando e Rosa.
I coniugi Belfiore avevano avuto tre figli: la primogenita l'avevano chiamata Elena, in onore della sorella di Nadia; la seconda Delia, come la nonna materna; l'ultimo nato Marcello, come il maggiore dei fratelli Ghisoni.
<< Eccoli, finalmente! >> esclamò la padrona di casa, contenta che anche i suoi genitori fossero arrivati sani e salvi. Quel giorno le strade di Roma non erano particolarmente sicure.
<< I nonni! Sono arrivati i nonni! >> esultò la piccola Elena, seguita dai fratelli minori e ai cugini, i numerosi figli di Armando e Rosa; negli anni erano infatti diventati sei: Giulia, Enrico e Sara erano stati seguiti da Rita, Marco e dal neonato Manlio, nato a luglio di quell'anno.
<< Meno male! Con tutti i tafferugli che ci sono oggi... >> intervenne la contessa, con un sospiro di sollievo. Era una donna di un'altra epoca, già non riusciva ad integrarsi bene nel mondo successivo alla guerra, ancora meno in quel primo periodo fascista.
Il maggiordomo Carlo Donati annunciò i coniugi Berardi; Nadia corse loro incontro.
<< Mamma, papà! Avete fatto un viaggio tranquillo? >> si premurò.
<< Ma certo, cara! Tuo padre ha preso una strada secondaria, lontana da quella della Marcia... >> la rassicurò sua madre.
<< Sinceramente non so cosa pensare di tutto ciò che sta succedendo... >> commentò Alessandro.
<< I coniugi Solari sono sostenitori di questo Mussolini, dicono che l'Italia abbia bisogno di un uomo forte, che la risollevi. Ma a me tutto questo non convince. Uno che si serve di uomini che vanno a picchiare chiunque si opponga a loro per strada non mi sembra un uomo forte. Sembra quasi un clima di terrore, senza contare quello che è successo a Matteotti... >> dichiarò Oreste, raggiungendoli e accodandosi a loro mentre si dirigevano in soggiorno.
<< Avete visto come si è preso la colpa della sua morte? >> intervenne Armando, avendo sentito il nome del politico ucciso nel 1921, omicidio di cui Mussolini si era preso implicitamente, ma pubblicamente, la responsabilità.
<< Mi è sembrato che recitasse, per vedere come reagiva l'elettorato >> sostenne Delia, che si era fatta un'opinione chiara. Poi però vide i nipotini correrle incontro e si distese.
Era un giorno di festa, la politica e le sue ombre almeno quel giorno dovevano restare fuori dalla porta.

                                     ***

A Palazzo Giardini, Teresa Mazzanti recitava il rosario, seduta sulla poltrona del soggiorno mentre guardava i gemelli giocare: lei e Daniele avevano deciso di chiamarli Paolo e Andreina, perché avevano ripreso i capelli castani dei Mazzanti e gli occhi azzurri dei Giardini.
Daniele era andato ad incontrare sua sorella Francesca e il marito Filippo, con cui Teresa gli aveva pregato di mantenere dei rapporti perlomeno civili: infatti, quando erano tornati a Roma due anni prima, il conte Mazzanti non aveva potuto credere che il loro esilio durasse così poco; tuttavia, sapere che si erano schierati dalla parte di Mussolini aveva indotto la giovane contessa a pensare, attraverso i coniugi Solari, di poter tenere quell'inquietante movimento politico sotto controllo.
Tuttavia aveva paura della situazione tesa di quel giorno: non appena si era saputa la notizia della Marcia su Roma, gli altri partiti si erano organizzati per manifestare a sfavore di quella specie di sfilata, e probabilmente la situazione sarebbe diventata pericolosa; per questo pregava con fervore.
Non appena rientrò, Teresa tirò un sospiro di sollievo.
<< Daniele! >> esclamò, correndo incontro al marito.
<< Non vedevo l'ora di tornare... L'atmosfera mette paura, sembra di stare nella Francia di due secoli fa, durante il Terrore... Le squadracce di Mussolini pattugliano le strade come una sorta di polizia politica. È tutto assurdo... >> commentò questi.
La Mazzanti lo guardò: la politica stava logorando le menti e i cuori degli uomini. Lui, Emilio Marconi, Filippo Solari... La Grande Guerra era finita da quattro anni, ma dai loro discorsi sembrava stare per scoppiarne un'altra, ma col Parlamento al posto del fronte, e i partiti politici invece dei soldati.
<< Qualunque cosa succederà, dobbiamo essere forti. Tutto diventerà più difficile, temo. Ma non bisogna perdere la speranza. Io pregherò per tutti noi >> promise, prendendogli le mani.
Le grida concitate della servitù destarono la loro attenzione.
<< Conte, contessa! Venite a vedere... >> li chiamò Giovanna, una delle cameriere.
<< Fuori è pieno di gente, molta che esulta al passaggio dei fascisti... Lo stalliere Costantino giura di aver visto anche Arnoldo e Sante, due dipendenti di Palazzo Solari... >> aggiunse la collega Clara.
Teresa e Daniele corsero loro dietro, per andare a vedere quello spettacolo pomposo e triste: la Marcia su Roma rappresentava la fine della libertà e il passaggio ad una nuova epoca.
Nulla sarebbe stato mai più come prima, ma l'importante era continuare a pensare con la propria testa, senza condizionamenti.

Fine

Tutta la vita che non abbiamoWhere stories live. Discover now