19. Tasto dolente

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“Ed ho visto un angelo con gli occhi scuri
Ed i capelli più corti del fiato”
- Psicologi


Non so cosa mi sia passato per la testa nel momento in cui ho accettato l’invito di Corinne. Dopo ciò che è successo tra di noi, se fossi stata nei suoi panni, me la sarei legata al dito per l’eternità. Mi sono avventata su di lei come una tigre davanti a metà scuola, e non è di certo una cosa insignificante. Mi chiedo come faccia ad atteggiare ancora le labbra ad uno di quei sorrisi in grado di stendere una platea di ragazzi nonostante l’umiliazione e la rabbia provate in quel momento.

Tre potrebbero essere le ragioni:

-          ha la capacità di dimenticare in fretta;

-          Aretha la tiene al guinzaglio;

-          me la farà pagare in altri modi;

Non penso che la perfidia la contraddistingui, ma so qualcuno che è in grado di manipolarla molto bene. Questa potrebbe essere una trappola, perché solo Dio sa cos’ha in testa Aretha, ed è per questo motivo che sto guardando il costume da bagno da almeno mezz’ora, indecisa se indossarlo o meno.

Lo stai facendo per Riley, bisbiglia una voce nella mia mente.

Un lamento flebile rompe il silenzio nella mia stanza e una risatina divertita si mischia incurante al mio sospiro, facendomi contrarre le mascelle.

Mi giro quasi a rallentatore e la prima cosa che noto è la rabbia che scalfisce con la solita maestria i lineamenti del suo viso. Ruth è appoggiata con la schiena al muro, tra le mani stringe un pacco di biscotti dietetici e gli occhi taglienti sono puntati su di me.

«Ma guarda un po’ chi ha deciso di uscire fuori dalla sua caverna», il suo sarcasmo e la voglia di attaccare briga con me sono palpabili.

Mi mordo la lingua come se potessi in qualche modo impedire alle parole di uscire fuori con la stessa freddezza, poi rispondo: «Che cosa vuoi, Ruth?»

Lei in tutta risposta inizia ad avvicinarsi a me e stringe tra le dita un biscotto, frantumandolo e buttandone a terra le briciole. Forse il suo desiderio nascosto è farmi fare la stessa fine, ridurmi in una miriade di particelle e gettarmi via come se fossi niente. «E che sorella sarei, se non ti rendessi la vita un inferno ogni singolo giorno?», ribatte con una risata maligna.

I muscoli delle gambe sono così contratti che inizio ad avvertirne il bruciore. Stringo il costume tra le mani e conto fino a dieci, sperando che vada via.

«Da quanti anni ce l’hai? L'ultima volta che te l’ho visto addosso avevi forse quattordici anni», ghigna, muovendosi silenziosamente verso di me.

«Perché non te ne vai?», le rivolgo un’occhiata supplichevole. Non voglio litigare con lei.

Ruth mi fissa a lungo negli occhi, come se la mia semplice richiesta avesse spezzato qualcosa dentro di lei. Forse la sua parte razionale sa che sta sbagliando, sa di aver superato già tutti i limiti che io consideravo invalicabili e sa di aver rotto in mille pezzi le mura della mia fortezza, ma continua a non importarle nulla. Lei questa fortezza vuole distruggerla fino all’ultimo mattone, per poi gustarsi la vittoria e danzare sul mio dolore.

Deglutisce rumorosamente, il suo sguardo è incollato sulla foto di nostro padre. La sua morte ha forgiato la sua rabbia, trasformandola in un’agile arma da usare a suo piacimento contro di me. Si riscuote dai suoi pensieri e punta lo sguardo furioso su di me.

Mi strappa bruscamente il costume dalle mani e poi afferra le forbici da sopra la scrivania. Capisco le sue intenzioni e scatto in piedi, ma lei grida: «Se ti avvicini, non ci penserò due volte ad eliminare quell’espressione da cucciolo bastonato che hai sul viso», minaccia, il mento le trema dalla rabbia.

Un bacio dall'altra parte della lunaWhere stories live. Discover now