34. Fino all'ultima ferita

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Sasha

 

 

 

Andiamo, rispondi.

Mi tolgo l’auricolare dall’orecchio ed estraggo il cellulare dalla tasca. Guardo la schermata luminescente, ma il suo nome non appare. Perché non risponde?

«Dio, questa ragazza!», brontolo, stringendo lo smartphone tra le dita. Eseguo il laser flip attirando così lo sguardo infastidito di qualche passante.

«Non tutti riescono a farlo», gli dico con aria fiera. Sì, sono davvero un esperto. E non vedo l’ora di portare Casper nel mio posto preferito. Un giorno riuscirò ad insegnarle dei trick, sperando di non ritrovarla con il sedere a terra anche dopo dieci anni.

“Tutto okay? Ti hanno rapita gli alieni?”, le scrivo e sorrido.

«Fermo qui», un vigile allunga il braccio, fermandomi. Sollevo lo sguardo e vedo le luci lampeggianti di alcune macchine della polizia.

«Oh, sembra ci sia stato un brutto incidente qui», commento osservando con curiosità il luogo dell’accaduto. «Ci sono feriti?»

Il vigile mi lancia un’occhiata infastidita, ma poi risponde: «Da quel che ho visto hanno trasportato sulla barella soltanto una persona. Penso sia ferita gravemente».

Arriccio il naso. «Merda. E l’autista sta bene?».

Il vigile si stringe nelle spalle. «Era in stato di shock. La ragazza invece era incosciente».

«Ragazza?», chiedo passando la lingua sulle labbra secche. I palmi delle mani iniziano a sudare e il battito del cuore inizia ad aumentare piano piano.

«Avrà la tua età, penso», mi squadra dalla testa ai piedi. «Fai attenzione su quel coso», indica lo skateboard. «Non vorrai mica fare la sua stessa fine, no?»

«S-sa se… se per caso lei…», non riesco a dirlo. «Andava sullo skateboard quando è successo?»

«Non si può dire con certezza. Alcuni testimoni dicono l’avesse sotto il braccio, ma visto quello che è successo, ne dubito. Voi giovani siete irresponsabili quando si tratta di rispettare delle semplici regole», scuote la testa con disappunto. «La strada non appartiene soltanto a voi. Bisogna essere prudenti»

Non riesco più a seguire il suo discorso. Il cellulare mi cade dalle mani e i miei occhi fissano inorriditi gli agenti della polizia. «Non può essere lei», mormoro e crollo sulle ginocchia. I miei polmoni sembrano sul punto di collassare e il cuore batte talmente forte da sentirlo pulsare nelle tempie.

«Tutto bene, ragazzo?», chiede il vigile, ma non riesco a rispondere. Mi trascino vicino al cestino della spazzatura più vicino e vomito. Lo stomaco è diventato pesante come un sasso. I suoni sembrano lontani e ovattati, incapaci di raggiungermi.

Chandra sta bene.

Non era lei.

Chandra sta bene.

Mi pulisco la bocca con il dorso della mano e ripesco da terra il cellulare. Con le dita tremolanti cerco di scrivere un altro messaggio, ma la vista si appanna e io non vedo più niente, quindi spengo la schermata.

«Cazzo!», grido così forte che sento la gola bruciare. Prendo lo skateboard tra le mani e corro velocemente verso l’ospedale più vicino.

Non è lei.

Non è lei.

Non può essere lei.

Ad ogni mio passo, ad ogni mio respiro sento i pezzi del mio cuore cadere uno ad uno, lasciando un sentiero di dolore dietro di me. Percorrilo e raggiungimi, ti spiego. Tutto questo non è reale.

Un bacio dall'altra parte della lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora