Capitolo 7

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Qualcosa in lei l’aveva sempre trascinata in basso, come un nucleo duro al posto del cuore, pesante di gravità. E scendere in continuazione non serviva a nulla, il fondo non esisteva. La sua tristezza non aveva superfici in cui essere contenuta. Il suo dolore era cosmico e moriva come le stelle: l’irradiazione persisteva anni luce, anche se la sua fonte era morta.

Casa sua era diventata una stella. Bruciava. L’ultimo baluardo del ricordo di sua madre. Atena aveva perso il passato e l’identità.

Fuggì in strada, dove un mare di persone si accalcava per vedere ciò che stava succedendo sulla collina più alta del paese. La villa nobiliare dei Raggi si sarebbe ridotta in un mucchio di cenere, come il corpo della sua ultima proprietaria. Atena corse fino a sentire bruciare le ginocchia, entrò in macchina e mangiò i tre chilometri di collina con le ruote. Una volta davanti alla disgrazia, cadde. Lì c’erano altre persone, si erano organizzate per spegnere l’incendio e intanto si avvicinavano le sirene dei pompieri.

Atena non era mai caduta in pubblico. Si sbucciò la pelle delle gambe sulla passerella in pietra. Pianse in un elegante silenzio, nessuno se ne accorse. Nessuno tranne Nico.

Lui era tra la folla, le braccia incrociate, il fuoco dell’incendio riflesso nelle iridi. Sembrava essere appena uscito dalle fiamme. La pelle scura, gli occhi così neri che era difficile individuare la pupilla. Si accovacciò al suo fianco, con un braccio raccolse tutto il suo corpo. Posò la fronte sulla sua guancia bagnata e sospirò. Atena pianse più forte, in un silenzio sovrumano. Erano come isolati dal caos circostante, in una bolla dove il tempo scorreva diversamente.

-Ninfetta, dalle tue lacrime nascerà un fiore- Nico le prese le guance nelle mani. Atena lo vide sorridere, abbassò lo sguardo sul suo polso coperto da una benda bianca. Non era un’espressione vuota. In quel sorriso si era risvegliata la cattiveria del mondo. La cattiveria di chi fa nascere un fiore per poi strapparlo.

-Vieni con me, te ne prego. Ti porto via di qui- l’impressione svanì immediatamente. Ora non sorrideva più, ostentava solo preoccupazione e delicatezza.

Atena si lasciò sollevare dalle sue braccia e gli permise di portarla dove voleva.

Nico la accompagnò a casa sua. Tirò le tende del salone per nascondere l’incendio. Atena era in piedi al centro della stanza. Non piangeva più, era come se non lo avesse mai fatto.

-Starai qui con me, non voglio che rinunci alla tua vacanza- le disse Nico, facendosi più vicino.

-Hai mai provato un dolore talmente grande da sentirti vivo?- Atena si sedette sulla poltrona.

Nico si inginocchiò ai suoi piedi e slacciò il cinturino dei suoi tacchi -No, è ciò che stai provando tu?-

-È ciò che provo da quando sono al mondo.-

-Ninfetta, posso confessarti l’unico desiderio che io abbia mai avuto?-

-Dimmi, Nico.-

-Provare un dolore talmente grande da sentirmi vivo.-

-E perché proprio un dolore? Non può essere un’altra emozione? La felicità, per esempio.-

-Sono troppo intelligente per essere felice. Nella mia vita non c’è presupposto per la felicità. Se potessi sentire, sentirei solo dolore- si alzò dal pavimento, le braccia pendenti lungo il corpo.

Atena sfiorava col naso la cintura di Nico, la stoffa dei vestiti le premeva sulla pelle.

-Nessun ragazzo ti si è mai avvicinato così?- chiese lui, raccogliendo il suo viso a coppa nelle mani.

Le guance di Atena erano una ciliegia schiacciata su tela bianca -I ragazzi non mi interessano.-

-Neanche a me le ragazze.

Nico si calò sulla bocca di Atena. La penombra del salone sfumava le loro sagome.

Per un momento lui sentì. Un lieve brivido nella gola serpeggiò fino al bassoventre.

La porta di casa si aprì. Si separarono con uno slancio.

Entrarono Edoardo e Margherita. I due sembravano preoccupati e la donna abbracciò Atena, promettendole che avrebbe potuto dormire lì con loro.

Mirko comparve sulla soglia. Incrociò i suoi occhi con quelli del fratello. Nico trattenne una risatina.

Dopo aver mangiato, i tre ragazzi salirono ai piani superiori.

-Ninfetta, non preoccuparti per Mirko- esordì Nico -a breve sarà di nuovo in carcere. Non ti darà molto fastidio.-

Mirko aprì la stanza degli ospiti -Non finirò in carcere.-

-Come no? Io pensavo fosse quello il tuo posto naturale. Sono vere le voci che circolano sulla galera? Non potete neanche pisciare da soli?- rincarò Nico.

-Ma che vuoi saperne, tu, della galera? Non sopravvivresti un singolo giorno- Mirko e Atena entrarono nella stanza.

-Convinto?- Nico afferrò Mirko per la gola, se lo avvicinò al petto e stritolò la trachea nella sua mano. Quante volte lo aveva soffocato da piccoli, fino a fargli perdere i sensi. Mirko gli calciò la caviglia e si liberò dalla sua presa.

Atena si sedette sul letto, accarezzando le coperte. La stanza era semplice: un armadio, un comodino e uno specchio -La smettete di azzuffarvi?- chiese. Dalla finestra si vedeva la casa in collina, l’incendio spento, lo scheletro dell’imponente villa dimorare come un fantasma. Nico tirò di nuovo le tende, ma ora Atena era molto più lucida.

-Ho perso i miei vestiti, i miei trucchi e i miei gioielli. Ho bisogno di ricomprare le cose basilari.-

-Se vuoi, oggi pomeriggio ti accompagno- si propose Mirko.

Nico sbuffò, alzando gli occhi al cielo -Basta, Mirko. Sei arrivato da un giorno e già mi hai seccato.-

-Sarei felicissima di accettare- disse Atena, sorridendo raggiante a Mirko.

-Ti avrei accompagnata io- si intromise Nico.

-Vieni anche tu, ho bisogno di più braccia per tenere le buste. Non fate quelle facce, non siete felici di fare sfoggio dei vostri bei muscoli?-


Da piccoli Nico e Mirko crebbero in una situazione di netta disparità. Nico era il preferito, Mirko quello che non poteva essere spedito indietro. Questo lo incattivì fino a far emergere la parte peggiore di sé. Nico lo tiranneggiava in ogni modo, ma nella sua sopportazione risiedeva uno spirito di vendetta che ben presto prese il sopravvento. Mirko divenne alto e grosso, fisicamente incontrastabile. Nico aveva visto il fratello accanirsi sulla gente fino a ridurla un grumo di carne sanguinante e implorante. Il più grande non litigava mai, non amava trovarsi nelle risse ed evitava i conflitti in ogni modo. Il più piccolo era l’esatto opposto, andava a cercare rogne per il solo gusto di sterminarle. A Mirko piaceva scagliare le nocche contro la faccia di un obiettivo, sentire il sangue spruzzargli addosso, sentirsi il Dio di chi riduceva in quello stato. Lungi da lui l’indifferenza, era pieno di passione e di odio. Persino in quel momento, se avesse potuto, avrebbe ucciso il fratello. Ucciso, letteralmente, solo per il fastidio che gli aveva causato la sua intromissione.

-Tu fingi- gli disse Nico. Erano entrambi davanti allo specchio.

-Io fingo?-

-Sì, il tuo essere carino, il preoccuparti per gli altri. Fingi. Non sei davvero così.-

-Ah no, e allora come sono?- lo guardò negli occhi attraverso lo specchio.

-Tu non sei buono, Mirko. C’è qualcosa di cattivo in te.-

-L’unico cattivo qui sei tu, e lo sai.-

-No, io non godo nel fare del male. Tu sì. È che ti trattieni per qualche motivo. C’è una parte di te che ti impedisce di fare ciò che desideri.-

-Non hai idea di ciò che desidero.-

Nico mise una mano sulla guancia del fratello, quello si scansò come un cavallo selvaggio.


Margherita ed Edoardo ci tennero a finanziare lo shopping di Atena. Le diedero una delle loro carte prepagate e le dissero di non farsi scrupoli ad usarla.

Prima di uscire, Edoardo ammonì Mirko: -Comportati come si deve e non farmi vergognare di essere tuo padre.-

Mirko rispose che stava andando al centro commerciale e non a spacciare droga, poi uscì sbattendosi la porta alle spalle.


Prima di entrare in macchina, Atena volle tornare in biblioteca. Raccontò a Nico cosa stava facendo prima dell’incendio. Quando rientrarono, però, dell’annuario di sua madre non c’era traccia. Chiese alla bibliotecaria se li avesse disposti altrove, ma lei rispose di no, che era uscita come gli altri, attirata dall’incendio e che non aveva toccato nulla. Il tavolo dove Atena e Mirko avevano sfogliato le foto era vuoto e lucido, come se l’esistenza di quelle immagini fosse solo parte della loro immaginazione.

Nico aspettò i due affaticarsi nella ricerca, quando ormai un’ora era trascorsa, fece tintinnare le chiavi -Andiamo? Sapete che se si cerca troppo una cosa, non la si troverà mai? Quando l’avrete dimenticata, quella cosa sbucherà senza che ve lo aspettiate davanti ai vostri occhi. Ciò che si perde vuole rimanere perso per un po’.-


Mirko e Atena tornarono in macchina, sconfitti, e insieme a Nico arrivarono al centro commerciale. Trovarono a passeggiare tra i negozi anche Davide e Nora. Lei trascinava il suo fidanzato stritolandogli la mano tra un negozio e l’altro, esprimeva tutto il suo nervosismo nella camminata spedita e scattante. Quando Davide vide gli altri la avvisò, lei lo rimproverò dicendogli che non gli interessava assolutamente nulla, ma proprio nel mezzo della ramanzina Mirko si piantò davanti a loro.

-Fate shopping? Che comprate di bello?- chiese col suo tono squillante.

Davide lo guardò male e lasciò la mano di Nora, che si leccò le labbra in difficoltà -Di bello niente, dato che ogni vestito che provo mi va male.-

-Impossibile, ogni vestito? Ma se sei bella- le disse Mirko, prendendole una busta dalle mani.

Nora alzò gli occhi al cielo, non si lasciava ammansire dalle sue moine. Si era svegliata vedendosi brutta e sarebbe andata a dormire allo stesso modo. E se c’era una cosa che la ossessionava, quella era il suo aspetto fisico. Avrebbe venduto l’anima per vedere allo specchio il riflesso di una bella ragazza. Eppure le sue cosce non erano abbastanza sottili, non riusciva a chiudere il braccio tra l’indice e il pollice e la sua pancia non era incavata all’indietro.  Nora era miss rabbia, sempre nervosa, col cuore imbottito di fiele. Nora impazziva al punto di mordersi le braccia, tirarsi i capelli e vomitare all’ultimo respiro. Ciò che la faceva arrabbiare erano le piccole cose: i vestiti stretti, per esempio. La sua superficialità era proporzionale alla profondità del suo malessere.

Nico conosceva bene ciò che le passava per la testa, ma non le aveva mai dato importanza. Per lui sua cugina valeva meno di zero. Non provava alcuna empatia per chi aveva disturbi alimentari, la riteneva una faccenda semplicemente idiota.

Atena guardava Nora da lontano e lei, che di empatia strabordava, ebbe una stretta al cuore. Non le piacevano le persone che soffrivano, facevano soffrire anche lei. Atena non provava solo i suoi sentimenti, ma anche quelli degli altri.

-Voglio allontanarmi da loro- disse Atena a Nico.

-Come desideri- Nico le prese la mano e camminò dal lato opposto.

Fu un gesto spontaneo, Atena sussultò nel sentire le sue dita avvolte dal palmo freddo del ragazzo. Qualche sguardo si posò su di loro. Una ragazza mai vista prima con un vestitino rosso di seta, perle ai lobi delle orecchie e al collo, ogni riccio una spirale di caos. E poi lui, Nico, il corpo di ambra e il volto scolpito nel marmo, la fascetta bianca attorno al polso.

Atena la sfiorò col pollice, Nico ritrasse la mano, come scottato. E a quel punto, lei chiuse gli occhi e lo vide.

Nico si sorreggeva  al lavandino del bagno. Rivoli di sangue strabordavano dai canali delle sue arterie.

Più andava a fondo, più si sentiva vivo. Ricercava quella sensazione da quando era al mondo. Un bambino di cinque anni che sale sull’armadio e si butta giù per avvertire l’impatto del pavimento distruggergli le ossa.  Lui era questo. Un bimbo che non amava nessuno, perché non riusciva a sentire amore.

Allora davanti al lavandino di casa tua, bambino, tagliati le vene per dimostrare a te stesso di non essere morto. Fatti male, bambino, ma non riuscirai a piangere. Perché per te non esistono lacrime, il destino non ha avuto pietà.

Atena riaprì gli occhi. La visione era finita. Nico era nel centro commerciale, con lei, a tenderle di nuovo la mano col polso fasciato.

-Andiamo, quindi?- le chiese.

L’angoscia che aveva attanagliato il ragazzo per diciannove anni di vita le cadde sul collo come una scure.

-Andiamo- rispose.

AtenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora