Capitolo 15

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La mattina seguente Nico e Davide si incontrarono nella hall dell’ospedale. Avevano un mazzo di fiori, si sedettero difronte, senza parlarsi. Aspettavano l’orario delle visite per poter vedere Nora, erano stati spediti entrambi dalle famiglie. Davide aveva preparato da solo la composizione floreale, avvolgendo le primule del suo giardino con la carta da giornale. Nico aveva acquistato il mazzo più costoso dal fioraio.

Se un obiettivo li avesse fotografati, in un’istantanea sarebbe stato catturato il divario che li separava. Le due fisicità opposte, quella di Nico spessa e dura come il granito, quella di Davide sottile e flessibile come un giunco. L’abbigliamento diametralmente opposto, uno indossava una camicia e un pantalone di lino, l’altro una maglia stropicciata e dei pantaloncini da basket. Ma ciò che sarebbe spiccato di più nella fotografia erano i colori, il miele bronzeo di Nico e la neve lattea di Davide.

Se Nico avesse avuto dei sentimenti, gli avrebbe voluto bene. Davide di sentimenti ne aveva, e per Nico non provava affetto. Sul polso del maggiore spiccava la sua solita fascetta bianca, come un bracciale. Davide la guardò più a lungo del solito. Le tendenze autolesioniste di Nico risalivano dall’infanzia, gli piaceva conficcarsi gli aghi nella carne e correre contro i muri. Davide, che era il suo compagno di giochi preferito, lo fermava quasi sempre prima che si facesse male. Lo puliva con un fazzolettino, gli smacchiava i vestiti e lo rimproverava con dolcezza.

Nico posò i fiori sulla sedia, si grattò sopra la fascetta, che si rattrappì e si imbevve di sangue. Le sue ferite non si rimarginavano mai, lui le apriva prima che diventassero cicatrici. Annientare il suo corpo era l’unica occupazione che gli risultava piacevole.

Davide gli prese il polso ferito, per evitare che peggiorasse la situazione e che le persone attorno a loro se ne accorgessero. Nico gli schiaffeggiò la mano, malgrado il dolore Davide ripeté l’azione, si alzò e lo tirò in piedi. Per non fare sceneggiate Nico lo seguì in bagno. Davide si girò e lui srotolò la fascetta. Si sciacquò e si medico con una nuova garza.

-Non cambieremo mai- disse Davide, con la fronte rivolta all’uscita, mentre ascoltava i movimenti dell’atro.

-Nessuno cambia.-

-Puoi migliorare, però.-

-O peggiorare, che mi sembra più facile.-

-È difficile migliorare quando sei circondato da persone simili a te.-

-Dopo l’estate partiremo tutti, forse troveremo delle persone diverse.-

-A che prezzo rimarremo vivi dopo l’estate?- domandò Davide, girandosi finalmente verso il suo interlocutore.

-C’è sempre un prezzo da pagare, ce l’hanno insegnato i nostri genitori.-

-Comunque sai, non sembra che nessuno di noi abbia tutta questa voglia di vivere.-

Infatti erano lì per visitare Nora, che aveva deciso di andarsi a schiantare contro un muro. Vizi di famiglia.

Entrarono nella sua stanza, lei si era lavata e aveva indossato il pigiama rosa che la madre le aveva portato. Nico le porse i propri fiori, si informò freddamente del suo stato, le chiese se la botta le aveva fatto molto male e entro quando si sarebbe ristabilita. Nora gli rispose che aveva addirittura intenzione di tornare a lezione di danza, senza sforzarsi troppo. Il suicidio le era riuscito veramente male, aveva riportato poche ammaccature. Ci avrebbe riprovato, la seconda è quella buona, no? Nico non rise alla battuta, Davide sì, perché i due fidanzati condividevano lo stesso tipo di ironia.

Davide e Nora rimasero soli, Nico non vedeva l’ora di svincolarsi da quell’obbligo sociale. Non gli importava di Nora, per quanto gli riguardava sarebbe potuta anche morire, nel mondo accadono avvenimenti più gravi.

Davide chiese un vaso all’infermiera e mescolò i suoi fiori a quelli di Nico, disponendoli sul comodino di Nora. Lei gli porse una boccetta di smalto e gli chiese di applicarglielo sulle unghie, dove lo strato precedente si stava scrostando. Lui eseguì, baciandole prima le dita, gesto che la fece sorridere.

A Nora piaceva il fatto che Davide la trattasse da principessa. Mentre il ragazzo le applicava lo smalto, si sentì in colpa. Pensò alle sue scenate, alla violenza, alle urla e alle umiliazioni con cui lo aveva vessato. Davide sembra essere creato per incassare e basta. Un giorno non lo avrebbe più rivisto e lui avrebbe ricordato di lei solo i momenti brutti. Si chiese se c’era qualcosa da fare, ma si rispose che ormai era finita, che lo aveva rovinato.

-Va bene, ora che hai eseguito la tua mansione puoi andartene, mi sto annoiando- gli disse, rimirandosi le unghie scintillanti.


Nora non era in pericolo e le ferite che aveva riportato non erano gravi. Rimase un giorno sotto osservazione in ospedale e uscì. Fu la mamma ad accompagnarla a casa con la macchina.

I medici avevano riportato i risultati delle analisi di Nora. La ragazza era fortemente anemica, in più aveva confessato di non avere il ciclo da mesi. La medicina ai suoi problemi era una sola: il cibo.

-Se continuerai così i tuoi parametri vitali saranno compromessi. Spariranno le mestruazioni e con loro le funzioni biologiche da donna- le spiegò una dottoressa, in presenza di Laura.

-È facile, basta mangiare amore- suggerì la mamma con straordinario acume, mentre la traghettava a casa -sano, ovvio, non bisogna ingrassare troppo, giusto quel pochino per farti tornare il ciclo. Dovrai avere dei bambini un giorno, non vuoi darmi dei nipotini bellissimi?-

Durante il tragitto la figlia annuiva passivamente al ciarlare ininterrotto della donna al suo fianco. Laura blaterava qualcosa al riguardo della sua nuova estetista. Ad un tratto si fermò bruscamente a un semaforo, le prese il polso e con la stessa tragicità di qualcuno che assiste a un delitto, esclamò -Oddio mio, amore, ma tu hai proprio bisogno di una manicure!-

-Sì, mamma. È esattamente ciò di cui ho bisogno- accondiscese Nora.

Laura voleva bene alla figlia, un po’ come ne voleva da bambina alla sua bambola preferita. Le piaceva pettinarla, vestirla e renderla carina. L’aveva iscritta a danza perché le principesse devono saper essere eleganti e delicate. A Laura non era mai piaciuto lavorare, era disoccupata e non aveva nulla fa fare. Qualche anno prima si era fissata di voler dirigere una palestra, Andrea si occupò della parte burocratica per acquistare la struttura, lasciò che Laura la rinnovasse a suo piacimento. Dopo aver pensato alla pavimentazione, alla tappezzeria, alla sistemazione degli specchi e delle attrezzature, si annoiò. Gestire qualcosa era terribilmente noioso. Affidò il compito a una neolaureata in economia, la figlia di un’amica e se ne lavò le mani. Laura era infantile e viziata. Si fidanzò con Andrea per capriccio, lo tradiva abitualmente perché non era capace di essere costante con qualcuno. La vita matrimoniale faceva esattamente per lei: un bagno di ipocrisia. Amava uscire a braccetto con Andrea, partecipare a pranzi e cene eleganti, presentarsi come la signora Grassi, valutare frivolezze come i vestiti delle altre donne e la qualità del loro trucco. Era il perno di un manipolo di amiche con cui usciva ogni sera. Quando nacque Nora pensò immediatamente a fare la dieta e iscriversi a un corso di pilates per recuperare la forma fisica. Affidò la figlia a una tata e si rifiutò di allattarla. Per il primo anno di vita Nora fu una neonata sconosciuta, il cui pianto veniva ignorato durante la notte. Cominciò a piacerle di più al secondo anno, quando era in grado di camminare e sillabare qualche parola. Una volta a settimana le piaceva uscire con lei, sfoggiava un passeggino diverso a seconda dell’outfit.

Nora era cresciuta tra smalti, profumi, bigodini, creme, nastrini e indifferenza.

Si guardò nello specchietto dell’auto. Pensò: che faccia di merda.

Continuò a pensarlo anche tornata a casa, anche dopo essersi chiusa in camera a guardare Mean girls.

Non si era mai amata. Disprezzava tutti, ma la medaglia d'onore per il maiale più grasso della fiera la riservava a se stessa. Era alimentata dall'odio, gli altri la facevano vomitare soprattutto quando si vedeva riflessa nelle loro facce. Le loro comuni facce di merda, di quelle che incroci nella metro e che dimenticherai subito dopo. Però non riusciva a dimenticare la sua, di faccia. La contemplava ogni giorno nello specchio del bagno ed era rivoltante. Una ragazza scialba e insignificante, che aveva avuto la disgrazia di rendersene conto. Perché le persone amano vivere? Pretendono di sguazzare nella loro vita mediocre fino ad annegarci dentro. Si danno importanza, con quella faccia, poi.

Quindi si alzò, si andò a lavare il corpo con le unghie per raschiare via la pelle e sentirsi bruciare sotto l'acqua gelata. Si consumano molte calorie così, almeno è ciò che dicono Donna Nuova e Per Lei nei loro trafiletti sulla dieta settimanale.

Ed eccola lì, la sua faccia di merda, la sua dannata faccia di merda.

Si alzò le palpebre e controllò il colorito della coroide, sollevò le ascelle e ispezionò se la depilazione era stata efficace, poi dedicò lo stesso tempo a controllare braccia e gambe. Capitava, ammettiamolo, che accidentalmente dimenticava di passare la cera su una parte del corpo e che se ne accorgeva sempre troppo tardi. Allora prendeva il rasoio dal suo beauty-case e strappava, coi peli, anche uno strato di pelle. Ops, che sbadata.

Avrebbe voluto giustiziare tutte le altre facce di merda, un taglio universale di teste, inclusa la sua. Allora il mondo sarebbe stata una distesa immensa di teste mozzate, con le terminazioni nervose raggrumate dal sangue.

Il mondo è per le cose morte e lei era morta, allora perché questo dolore?

AtenaWhere stories live. Discover now