Capitolo 12

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La ghiaia scricchiolava sotto i tacchi di Nora, la notte non finiva mai e il suo corpo scivolava nei bagliori della luna. Era andata in una discoteca all’aperto, si era fatta offrire un paio di drink e aveva declinato molte implorazioni di sesso.

Si aggirava nel parcheggio alla ricerca della sua auto. All’improvviso, un fischio prepotente.

-Che brava, fai come le cagne che si girano ai fischi- alle sue spalle Kishin. Uno spillo dai capelli immersi nel buio -ti ho guadata tutta la sera, sei proprio bella. Peccato che non ti fai toccare da nessuno. Sei d’oro?-

Nora indietreggiò, il retro delle ginocchia subì l’impatto contro il parabrezza della macchina. Era pallida come una bambola di porcellana, le labbra di cristallo, la spallina del vestito abbassata, la clavicola esposta come un dolce in vetrina.

Nora e Kishin si conoscevano superficialmente, a volte lei presenziava agli scambi di denaro tra lui e Nico. Qualche occhiata fuori posto, poi finiva là. Ora Kishin non aveva più vincoli.

-Se mi fai del male, lo dirò a Nico.-

-Addirittura riusciresti a parlare da morta?-

Kishin aveva gli occhi cattivi, il volto affilato come il coltello che aveva sgozzato il fratello. Estrasse la pistola dalla tasca dei pantaloni e si avvicinò lentamente a Nora, umettò l’angolo delle labbra con la lingua e le sollevò la gonna con l’arma, infilandogliela tra le gambe.

Le cosce di Nora divennero burro, la canna della pistola pressò contro la sua intimità.

-È la mia zona, devi pagare per stare qui.-

-Mi infili la pistola tra le gambe perché non hai altro da mettere?- non è che Nora ebbe coraggio, ad un certo punto provò fastidio.

Lui la colpì con uno schiaffo, lei cadde a terra e finalmente le ginocchia si squagliarono.

-Non sto scherzando: se mi tocchi, o Mirko o Nico ti uccideranno.-

Il fastidio fu sostituito dal terrore. Kishin gorgogliò una risatina sottile, lo spiraglio dei suoi occhi si chiuse e si riaprì nell’oscurità, Nora vi lesse la furia omicida. La ribaltò prona, si sedette a cavalcioni sulle sue gambe e le mise la pistola alla nuca. Con la mano libera le alzò il vestito e le strinse il sedere. Lei era una pietra, non si muoveva e non piangeva. Kishin fu strabiliato dalla sua impassibilità. Si stese sulla sua schiena, faccia a faccia con lei.

-Dimmi cosa vuoi- disse Nora, sentendo il suo respiro sbatterle sulla bocca.

-Perché non hai paura di me?-

-Non sporcheresti il tuo onore stuprandomi e non mi uccideresti per non perdere l’occasione di sfruttarmi. Ora dimmi cosa vuoi.-

Lui si passò la lingua sui denti -Voglio tutto. Tutti i vostri soldi, sembrate averne infiniti.-

-Ti daremo la somma che chiedi, non c’è problema. Ma non dirmi che i tuoi desideri si fermano qui. Dimmi, Kishin, cos’è che vuoi più di ogni altra cosa?- Nora liberò una mano e la mise sulla guancia del suo aggressore.

-La vita di Mirko Diamante.-

-I soldi te li assicuro, ma per la vita di Mirko dovrai combattere. È preziosa.-

-Voglio sapere da dove prendete tutti quei soldi. Tu, le vostre famiglie. Come è possibile che vivete in quel lusso?-

-Ci siamo, quindi il tuo desiderio non sono né i soldi né la morte di Mirko, ma la verità.-

-Dimmelo- le sbatté la testa sul cemento.

-Non posso. Non lo so.-

Ma lei sapeva. Tutti sapevano ed erano complici. Non avrebbe tradito il suo sangue: non sarebbe mai andata contro il cugino e la famiglia. O meglio, contro il padre.

Nora amava suo padre e disprezzava sua madre. In un semplicistico disegno freudiano desiderava veder morta lei e rimanere sola con lui. Era morbosamente attaccata alla figura genitoriale maschile. Ricercava le attenzioni di Andrea, i suoi baci e i suoi abbracci. Per lei, lui era l’uomo più bello che esistesse. Alto e muscoloso, il petto di granito fasciato dalle polo Ralph Lauren, la barba curata che gli copriva metà viso, i capelli rossicci e gli occhi smeraldini. Abbronzato anche in inverno, l’orologio al polso, il sorriso come nelle pubblicità dei dentifrici, la voce roca e bassa, la dizione scandita.

Nora si era sviluppata molto precocemente rispetto alle altre bambine, a soli undici anni le si era ingrossato il seno e le erano venute le mestruazioni. Sua madre non si faceva problemi nel travestirla in una piccola adulta, il suo guardaroba era pieno di gonne, top, calze trasparenti e giacche alla moda. Vestiva come una modella in miniatura, ma lo faceva principalmente per ricevere i complimenti di Andrea. Si sedeva sulle sue ginocchia, dondolava le gambe, gli prendeva le mani e se le metteva sui fianchi. Una volta osò baciarlo come aveva visto fare alla mamma. Strinse le guance del papà e gli infilò la lingua nella bocca. Pensava che gli sarebbe piaciuto, perché papà era un uomo e i siti porno le avevano insegnato che agli uomini piacevano quelle cose. Lui la rimproverò duramente  e le disse di non comportarsi in modi così bizzarri. Immaginò che fosse solo una fantasia da bambina che aveva girato sul canale sbagliato della TV e non scavò nella questione. Nora capì che suo padre non la ricambiava, che era come gli altri uomini, certo, ma che non la vedeva come una donna. Lei aveva la sfortuna di essergli nata figlia. Quella fu la prima delusione d’amore. Cercò di dimenticarsi del sentimento bruciante verso il padre, nascondeva senza mai cadere in fallo la passione che la attanagliava ogni volta che lo vedeva a petto nudo o in mutande.

Nora divenne una spacca cuori, i ragazzi si innamoravano di lei e commettevano follie per attirare la sua attenzione. Lei era troppo per concedersi a chiunque, l’unico amore della sua vita era se stessa, i suoi obiettivi, la danza classica e il numero pericolosamente basso della bilancia. Le piaceva andare bene a scuola, partecipare ai concorsi di bellezza e alle gare sportive.

In realtà odiava il balletto. Non c’era nulla che la disgustava come indossare le ballerine e volteggiare sulle punte. Ma amava essere la migliore, ormai aveva sprecato troppe energie per abbandonare. E poi ad Andrea piaceva vederla col body, veniva ad assisterla ad ogni saggio di danza, la supportava e le diceva che era bravissima.


Nora aveva un debole per gli uomini grandi, forti e che condividevano il suo DNA. Li sentiva potenti e vicini. Andrea era il fratello di Margherita, la mamma di Nico: lo zio e il nipote sembravano padre e figlio. Nora e Nico trascorrevano molto tempo assieme, se una famiglia non poteva prendersi cura dei propri figli, li affidava all’altra. Per una strana coincidenza, Mirko assomigliava molto più ad Andrea del nipote naturale. Questo confondeva Nora, ma per lei era più importante la condivisione del sangue: Nico, Andrea e lei avevano lo stesso.
All’età del rifiuto del padre, Nora si concentrò su Nico. Cominciò a guardarlo come Andrea. Lui si spogliava davanti a lei secondo un’abitudine infantile. Una volta erano in piscina da soli, avevano appena concluso le scuole medie ed era l’estate che li avrebbe introdotti al primo anno di liceo. Nico si era sviluppato precocemente come lei, un tredicenne alto, dalle spalle larghe e la carne soda, i muscoli torniti dagli allenamenti in piscina e la pelle setosa, invidia dei coetanei. Lei era stesa sul lettino della sua piscina, sorseggiava una Coca-Cola Zero e giocava a fare l’adulta in bikini. Lui uscì dall’acqua e si calò il costume. Nora lo fissava col mento poggiato sul petto, controllava la sua figura tra lo spazio dei seni bagnati. Erano due ragazzini smaliziati, lui aveva già avuto rapporti, lei aveva baciato i ragazzi più grandi. Mentiva sull’età e attirava i ventenni nelle sue mutandine.
Il cugino le si stese a fianco, lei gli fece spazio. Le respirò nell’orecchio, rendendo il suo padiglione umido. Goccioline fredde colavano dal suo petto a quello di lei, le loro bocche erano a un passo dallo sfiorarsi.
-Piccola maniaca, se continui a guardarmi in quel modo lo dirò a mamma e papà- sussurrò Nico. La sua singolare abilità di captare le emozioni altrui, pur non possedendone alcuna, gli aveva concesso di decriptare la lussuria di Nora. Lei non gli interessava in nessun  modo, nemmeno come essere umano.
Per lui, lei era inesistente. Per lei, lui era il suo secondo amore.

Nora non riusciva a capire perché ogni uomo della sua vita dovesse ferirla. Magari le piaceva soffrire e non se ne rendeva conto. Ora, alla guida della sua macchina, sentiva la testa pesante per l’alcol e il corpo debole per l’aggressione appena ricevuta.
Andò a sbattere contro un muro. Forse lo fece a posta.

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