Capitolo 15

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"Dobbiamo parlare."
È questa la frase di Tobias che mi ha allarmato. Ho cercato di farmi dire l'argomento, o anche solo un'indizio, ma la sua unica risposta è stata: «Non qui, nella mia stanza tra quindici minuti.»
E se fosse arrivato il momento in cui ha capito che guaio sono? Se ha trovato qualcuna migliore di me? Dio, odio la mia ansia. Sono capace di stare a farmi trentamila domande, farmi venire il mal di testa, partecipare alla fine del mondo, e non avere neanche una risposta ai miei quesiti. Prendo un respiro profondo prima di picchiettare con la mano in pugno sulla porta d'acciaio nera della sua camera. «Hey.» sussurra appena mi vede. Forza un sorriso, ma capisco subito che qualcosa non va. Le guance non sono del tutto distese per la risata, e gli occhi non sorridono come al solito quando lo fanno anche le labbra. «Cosa è successo?» chiedo, senza troppi problemi. È inutile che mi imputo nel salutarlo, o a chiedere come sta, già lo so e poi l'ho visto stamane. «I miei mi hanno chiamato.» sospira arrivando al sodo.
«E hai risposto?» domando avvicinandomi a lui e prendendogli la mano. So che è un'argomento delicato per lui, per questo voglio dargli tutto l'appoggio di cui ha bisogno.
Scuote la testa. «Volevo farlo con te.»
«Ias, sono felice che vuoi che stia con te, ma non credi sia una faccenda privata?»
Non voglio che si penta di avermi chiesto di rimanere, voglio che analizzi bene i pro ed i contro, perché voglio tutto fuorché immischiarmi in quello che non vuole. Credo che una relazione sia formata da reciproca fiducia, ed é quello che provo sempre a fare. Se mi fido di lui, perché dovrei assistere a tutto?
«Lo so... ma sono più coraggioso se tu sei con me. Ricordi le montagne russe?» afferma abbozzando un sorriso nell'ultima parte.
«Già sei coraggioso, ma non te ne rendi conto.» gli faccio notare e aumento la stretta sulla sua mano.
«Allora, li chiamo?» domanda, come se la risposta decidesse solo ed unicamente a me.
«Devi fare ciò che ti senti.» do voce ad i miei pensieri, mentre fruga tra la tasca dei pantaloni fino a cacciare il suo cellulare. Annuisce; compone il numero dei suoi e mette il viva voce.
«Pronto?» risponde una donna. La madre di Tobias, immagino.
«Mamma, sono io.» sussurra il ragazzo dagli occhi blu, schiarendosi prima la voce.
«Tobias! Ma dove cavolo sei? Sei sparito da due settimane e mezzo!»
«Mamma...» prova a stopparla, ma fallendo miseramente. «Sei con quella ragazza, vero? La figlia di Susan, é scappata di casa anche lei il tuo stesso giorno.» È questa la frase che mi fa irrigidire di colpo, al solo sentire il nome di mia madre. Questa volta Ias non risponde, mi guarda con gli occhi semi spalancati, pieni di dispiacere. «Tobias, sono a casa sua con la madre e il resto della famiglia di Silvia. Diteci perché avete fatto una cosa del genere.» dice la donna -molto più calma di prima- dall'altra parte del telefono. Una risata priva di divertimento esce dalle labbra del moro, «Perché mai l'avremmo dovuto fare, Evelyn? Infondo, mio padre e suo fratello mica ci picchiavano, giusto? Infondo, tu non mi hai abbandonato, e la sua famiglia non ha creduto alle prime cazzate che ha detto quello stronzo.» risponde poi, stringendo forte la mano libera fino a far diventare le nocche bianche.
«Sei in viva voce.» risponde Evelyn, e sento un singhiozzo provenire da vicino a lei, forse mia madre, o forse mia sorella.
«Meglio. Noi stiamo benissimo così, ti ho chiamato solo per dirti questo.» continua Ias chiudendo gli occhi e sospirando pesantemente. Una risata echeggia nel telefono e la riconoscerei ovunque. È quella di Matthew.
«Che mi vuoi fare, Eaton? Mi prendi a pugni a distanza?» lo prende in giro proprio quest'ultimo. Dato che Tobias non risponde, decido di farlo io. «Vai al diavolo, Matthew.»
La mia voce esce decisa e dura, anche se non lo sono del tutto. È come se ogni volta la sua cattiveria mi lasciasse spiazzata, come se non fossi abituata. Le persone non cambiano, ma Matthew l'ha fatto. In peggio, ovviamente. Dall'angelo é passato al diavolo, o forse quella dell'angelo era solo una copertura.
«Silvia.» risponde subito mia madre. Sento sollievo e preoccupazione al tempo stesso nella sua voce. «La mia cara sorellina ha di nuovo la lingua? Come procede la vostra fuga romantica?» continua mio fratello.
«Matthew.» lo riprende Maya, si sente un pesante sospiro e dopo di che il silenzio più totale. Io guardo Tobias, lui guarda me.
«Ragazzi, non si affrontano così i problemi.» ci rimprovera la voce di un uomo. È il padre di Tobias, un po' lo capisco dalla sua reazione, un po' perché è l'unica voce che non riconosco.
«Quando provi ad affrontarli per tanto tempo, e poi fallisci, succede questo.» sbotta Ias, mentre io chiudo gli occhi.
«Tobias, non far soffrire mia figlia.» chiarisce mio padre, facendomi scoppiare a ridere in modo esplicito. Peccato, però, che sia una risata senza divertimento. É amara, tirata, piena d'odio.
«Ti preoccupi sul serio di lui, papà? Pensa piuttosto a tua moglie e tuo figlio.» quasi gli urlo. «Sil...» sussurra Tobias ma io non mi fermo. «Andate tutti a fanculo. Siete bravi a far finta che ci tenete e che siete bravi genitori. Poi, però, ci trattate di merda.» continuo.
«Il linguaggio...» prova a dire mia madre, ma interrompo bruscamente il suo rimprovero chiudendo la chiamata. Occhi blu continua a guardare il cellulare, come se loro fossero effettivamente qui con noi.
«Hey...» sussurro posando il cellulare che teneva ancora in mano, e mettendomi di fronte a lui. «...Scusa.»
«Di cosa?» domanda appena ripreso dal suo stato di trance. «Avrei dovuto mantenere la calma, e dovevi parlare tu era la chiamata con i tuoi genitori.» continuo sentendo gli occhi lucidi. Sono una ragazza terribile, ma la rabbia ha parlato per me. Un sorriso dolce compare sul suo viso. «Non devi scusarti, senza di te non avrei saputo cosa dire o cosa fare.»
«Secondo te ci lasceranno stare?» domando mentre le mie mani gli accarezzano la guancia. Lascia il peso del corpo, posando la testa sulla mia mano e chiudendo gli occhi per bearsi delle sensazioni.
«Ne dubito; per ora possiamo solo sperare che lo facciano.» sussurra dopo alcuni minuti.
«Ias.» biascico sulla sua maglietta.
«Sí?»
«Sei tu la mia famiglia, lo sai questo vero?»
Annuisce. «Tu sei la mia.»
«Perché?» chiedo, sentendo la curiosità di sapere cosa vede in me.
«Perché sento di potermi fidare di te. La mia canzone preferita è la tua voce. Vorrei svegliarmi ogni giorno con te al mio fianco. Perché come aria vorrei i tuoi baci. Vorrei che mi stessi vicino sempre. Perché se tu stai male, io sto male il doppio di te.» ammette facendomi uscire un paio di lacrime dagli occhi. Non di tristezza, o dolore, ma di felicità. Nessuno mi ha mai detto cose del genere, o anche solo pensarle verso di me. Nei libri ho sempre letto di queste cose smielate, ma non ho mai pensato che qualcuno potesse dedicarle a me. Ed ora, con lui che mi sussurra cose dolci, con la mia testa sul suo petto, con il suo profumo intorno al mio; so che lui è il mio libro. Perché voglio solo lui. Lui e nessun altro. Io sono sua e lui è mio dal primo giorno che ci siamo conosciuti, ma eravamo così tanto distratti ed orgogliosi da non accorgercene prima. Ed ora, dopo due settimane e mezzo che ci conosciamo, capisco l'importanza che ha nella mia vita. È la mia famiglia, perché ho sempre pensato che la famiglia non è avere un legame di sangue, ma è provare un sentimento forte per qualcuno. Che sia amore o voler bene, non importa. È potersi fidare ciecamente di quella persona, ed è esattamente quello che provo io con Tobias.

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