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Singhiozza, piegandosi in avanti. Vederla soffrire così non è affatto come vedere gli altri: le sue parole mi riecheggiano in testa, suonano come un te l'avevo detto che non riesco a togliermi dai pensieri.

«Sicura che vada tutto bene?» le chiedo, spostando appena il pollice sulla guancia.

«Lasciami in pace» mormora spostando il corpo indietro con un gesto secco. È come se quel coltello non avesse bruciato solo la carne, ma anche quella fiducia che aveva riposto.

Il proiettile giace a terra, circondato dal sangue.

«Val, per favore. Voglio... capire».

Sospira, poi si appoggia al muro e abbassa la testa. «Vorrei solo... insomma, poter prendere fiato per un giorno. E continuo a non avere una risposta a perché mi abbiano fatto questo» dice alzando appena il braccio.

«Probabilmente volevano solo scacciarci...»

«Non lo so» risponde passandosi la mano sinistra sugli occhi. «Insomma, non è che spari un colpo e tutto torna regolare se vuoi mandare via qualcuno. Urli, insulti, ti fai vedere. Non fai il codardo».

Annuisco appena. «Hai idee?»

«No. E questo è il peggio. Non posso nemmeno avere un riscontro su cose già successe: gli Immortali ci hanno sempre messo la faccia, quelli... normali gli insulti».

«Mh...»

Non so nemmeno cosa aggiungere: di base ha ragione. Un attacco così non è mai successo. Chiunque sia stato, è un codardo.

«Abbiamo finito gli alcolici?» chiede un attimo dopo con un filo di voce. La guardo per un istante prima di capire cosa intendesse.

Ubriacarsi non è mai la soluzione migliore in questi tempi, ma per una volta le devo dar ragione. Possiamo sperare che sia stata una cosa passeggera, che è stato un attacco di un codardo solitario che ci ha visti come una minaccia. A guardarla, a primo impatto, la ferita non aveva nulla di diverso da tante che abbiamo avuto. Basterà dare il tempo alla bruciatura e non sarà nient'altro che un ricordo da riportare a galla durante qualche conversazione.

«No» le rispondo afferrando lo zaino. Da qualche parte, sotto tutto, ci deve essere una bottiglia. Forse è l'ultima, forse non lo è. Ma è ciò di cui ha – abbiamo – bisogno oggi.

Quando stringo la mano sul collo, la tiro su. È ancora quasi piena: mai più di due sorsi è la nostra regola non scritta.

Val si china in avanti, l'afferra con la mano sana.

«Puoi prendere anche i miei, tanto... insomma, con quella ferita dubito che tu possa riuscire a guidare».

L'espressione dolorante che aveva avuto fino a questo momento cambia, si trasforma in un sorriso che poi la porta a scoppiare a ridere.

«Grazie».

***

Nessuno dei due aveva previsto di addormentarsi lì, in quel buco trovato per un colpo di fortuna. La luminosità che arrivava da fuori è cambiata: adesso è buio.

Sposto un braccio a proteggere gli occhi quando un fascio di luce mi colpisce in pieno.

«Sono io» mi dice Val, abbassando la torcia prima che possa mettere mano alla pistola. «Ma credo sarebbe meglio andare, saremmo topi in trappola se qualcuno ci becca qui».

Non le risposto, tasto il pavimento intorno a me fino a trovare lo zaino: abbiamo avuto fortuna questa volta, ma la ruota gira e non durerà in eterno. Prima o poi qualcuno ci beccherà.

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