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I binari brillano sotto la luce delle nostre torce per pochi istanti prima di tornare a essere inghiottiti dalla nebbia mattutina. Tutt'intorno a me, ci sono aloni luminosi che sembrano globi sospesi: sono le torce degli altri componenti del gruppo. Distinguo a malapena le loro figure: Talira è pochi passi avanti, Riya è alla mia sinistra; Elrin presumo dietro.

I sassi della massicciata rotolano via sotto i piedi: li percepisco distintamente nonostante la suola spessa degli scarponi mentre avanziamo tra treni fantasmi, fermatisi qui, forse all'improvviso, per l'ultima volta. Per quanto mi sforzi, non riesco a non voltare lo sguardo verso le carrozze: molte sono prive del tetto, probabilmente mangiato dalla ruggine. Quasi tutti i finestrini sono rotti e anche puntando la torcia verso quelli, all'interno non si vede molto bene: si nota, però, che il tempo ha consumato i sedili.

Treni passeggeri, vuoti, si alternano a treni merci: questi ultimi, al contrario, sembrano in servizio. Alcune delle loro ruote brillano quando ci punto sopra la torcia; tutti i vagoni hanno le porte bloccate da lucchetti.

«Campo Trivellato è a cinquecento metri da noi: da qui in poi, gli Immortali potrebbero vederci o sentirci» la voce di Talira è poco più un sussurro. «Spegnete le torce. Potrebbero attaccarci da un momento all'altro».

Mi volto indietro: incrocio per un attimo lo sguardo di Elrin mentre dal buio che ancora ci circonda, arriva il rumore di armi che vengono caricate.

Sono certo che sarà il rumore dei nostri passi a tradirci adesso che le torce sono spente e noi non siamo altro che fantasmi nella nebbia.

Uno.

Ogni metro che passa, ogni traversina che oltrepassiamo ci avvicina a loro.

Due.

Serro le labbra, stringendo anche istintivamente la presa sul fucile.

Tre.

Nessuno fiata, nessuno dice una parola.

Sappiamo tutti cosa ci aspetta a pochi metri - o forse no perché questa volta è diverso. Basta un attimo a diventare il bersaglio di un proiettile che potrebbe inchiodarti a un'esistenza grama dove il corpo è cosciente di una condizione da cui l'anima non può staccarsi. Finché si può fare qualcosa, l'immoralità non è poi così male.

La nebbia non mi permette di vedere in distanza come vorrei: qualcosa potrebbe spuntare da un momento all'altro, così come hanno fatto i treni, ma non si tratterebbero di altri oggetti inanimati. Questo è il punto peggiore, è il loro territorio; gli Immortali vogliono guerra e noi stiamo fornendo un pretesto per tornare a combattere.

Due colpi fendono l'aria, si conficcano in lamiere poco distanti. Rimbomba, quel rumore. Ferisce le orecchie.

C'hanno visto.

Sussurri che sembrano grida sono ovunque intorno a me.

Altri spari, altri sibili.

Mi appoggio con la schiena a una carrozza; volto lo sguardo quando sento qualcuno toccarmi il braccio.

«È sempre così?» chiede Elrin.

«Sì, ultimamente sì: sembra che ci aspettino perché sanno che siamo disperati... e che non possiamo morire. Dé, non sappiamo vivere, sappiamo solo combattere. Posso dire di essere nato con il fucile in mano perché sono secoli che la Città 26 è un campo di battaglia perpetuo». Scuoto la testa, abbassando lo sguardo. «Come l'ultima volta e quella prima, sono sicuro che non andremo più avanti di un vagone merci disteso sui binari: è il punto che davvero segna l'inizio del loro territorio».

La raffica di colpi si fa sempre più rada, segno che gli Immortali hanno ottenuto ciò che cercavano di fare: scacciarci.

Qualcuno corre inciampa nelle traversine e si rimette in piedi, cercando poi riparo nello spazio ristretto lasciato dai respingenti tra carrozza e carrozza e sparando alla cieca, nella speranza di far capire a loro che noi siamo qui, che non ci arrenderemo e che è solo questione di tempo prima che la guerra riprenda a bruciare per davvero e non sotto forma di scaramucce.

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