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Anche oggi il cielo ha assunto una strana colorazione giallastra che in alcuni punti tende al grigio, ma fuori non c'è il sole. Non ha mai perso il senso di apocalisse imminente, nemmeno ora che si siamo dentro.

Non ho nemmeno idea di perché sperassi che da altre parti fosse diverso: ormai dovrei avere un'idea chiara che le macerie sono ovunque.

Mi appoggio al davanzale: l'aria sembra comunque diversa da quella della Città 48 che ci siamo lasciati alle spalle.

La distesa di alberi secchi che si allunga fino alla valle è sempre la stessa, nient'altro che tronchi mummificati. Solo in qualche punto mantengono i rami, ma nessuno porta foglie. Il grigio del cielo si mescola al marrone del terreno.

Non so cosa mi aspettassi di vedere. Siamo qui da qualche giorno e il panorama è sempre lo stesso, perché proprio oggi avrebbe dovuto essere diverso?

«Quanto dovremmo rimanere qui?» chiedo voltandomi verso Elrin che snette di rigirarsi il coltello tra le mani, tirandosi a sedere sul materasso sudicio di cui ha deciso di prendere possesso.

«Hai paura che ci crolli da un momento all'altro sulla testa?»

«Anche?» gli chiedo di rimando, spiazzata da quella domanda. «Comunque, era un dubbio in generale. Odio starmene senza far niente».

«Puoi sempre farmi da bersaglio». Sposta lo sguardo tra me e il coltello, senza perdere un sorriso idiota dalle labbra. «Tanto, non puoi morire».

«Cosa?» gli chiedo staccandomi di scatto dal muro.

«Io ti ho dato un'idea di qualcosa da fare visto che ti annoiavi».

«Hai idee strane». Incrocio le braccia

Elrin scuote la testa, poi appoggia il coltello sul pavimento. Piega una gamba, sistemando il gomito sul ginocchio. «Comunque, lo so quanto dobbiamo stare qui. Arriverà un informatore, prima o poi. Avevo solo queste coordinate, nulla di più. Mi spiace, ma non dipende da me».

Annuisco con un cenno della testa. Gli volto le spalle, andando a sedermi sul materasso nell'angolo opposto al suo. Afferro il diario, sempre a portata di mano in cima allo zaino e incrocio le gambe. La consistenza delle pagine è ormai diventata familiare: le faccio scorrere e lo apro poco prima della metà, in un punto che ancora non dovrei aver letto.

Sabato 6 marzo 2517, Città 66. Ore 3.42

Stando ai racconti dei pochi sopravvissuti della Città 66, è cambiato molto. I grandi monumenti del passato sono collassati e adesso non sono altro che un mucchio di sassi, rovine che hanno perso tutto il loro fascino.

Anche oggi, gli Immortali sembrano essere spariti nel nulla, come un miraggio in mezzo al deserto: li abbiamo seguiti, li avevamo quasi in pugno, ma la tempesta di sabbia ci ha fatto perdere la strada. È un continuo fallire, perdere la strada e ricominciare da capo. Non sembra più neanche una guerra: non è così che si combatte. Sono stati scritti dei libri sull'arte della guerra, sono stati tramandati alcuni usi, sono stati stabiliti codici di comportamento. Ma a loro non interessa: non sono umani, perché dovrebbero sottostare a queste regole insulse quando cercano di arrivare al loro obiettivo?

Lancio un'occhiata a Elrin: ha ripreso a giocare con il coltello, muovendo appena le labbra – forse canticchia qualche vecchia canzone.

Abbassi di nuovo lo sguardo sul diario, scorrendo le pagine senza troppo interesse. Le date si alternano, così come i luoghi, anche se sembrano tutti della stessa zona. Reclino la testa all'indietro, colpendo ripetutamente il muro.

«Quindi... hai trovato qualcosa di interessante?»

«Niente che non sapevamo... Ogni tanto racconta qualche sogno assurdo che ha fatto».

SuperstitiWhere stories live. Discover now