Capitolo 33

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Ero ben consapevole del ritorno di Norman e ben consapevole delle sue azioni malvagie. Ero ben consapevole del fatto che io ed Harry avessimo disperatamente bisogno di fuggire. In un mondo perfetto, ci sarebbe stata una via d'uscita e una fuga davanti a noi. Ma tanto tempo fa, avevo imparato che un mondo perfetto non esistesse. Non importava quanto duramente ci avessimo provato, non importava quanto lavoro le nostre menti avessero sopportato per capirci qualcosa, questa fuga non poteva essere eseguita in così poco tempo.

Le mura dell'istituto si ergevano come barriere non solo per i pazzi ma anche per il pericoloso compito di evadere. Fuga e. . . privacy. Beh, la privacy mia e di Harry. Perché quei piccoli baci sulla guancia o quei pochi minuti delle labbra di Harry sulle mie nell'ufficio di Lori non erano. . . abbastanza.

Ma invece di soffermarmi a pensare alle meravigliose spalle di Harry, al suo ampio petto, alla sua schiena, alla sua pelle liscia e alle sue labbra meravigliosamente carnose, camminai lungo il corridoio, ritrovandomi davanti all'ufficio di Kelsey. Kevin, la mia guardia, era alla mia destra per assicurarsi che non avessi fatto nulla di male.

Nel tragitto, comunque, notai alcune cose che di solito non avrei notato. Un paziente, che si stava comportando normalmente, stava venendo trascinato troppo violentemente da una guardia che gli stava troppo addosso; quest'ultima era troppo maleducata, buttando il paziente nella sua cella con troppa forza. Non si era nemmeno scusato, aveva soltanto sbattuto la porta e se n'era andato. E non era come se mi stessi aspettando che la guardia avesse dovuto comportarsi in modo carino ed educato, ma questa non era la prima volta che succedeva una cosa del genere. Quando ero ancora un'impiegata, passavo la maggior parte del mio tempo rinchiusa nell'ufficio di Lori, di conseguenza, mi era persa molte cose su questo istituto. Ma ora, nelle vesti di una paziente, avevo aperto gli occhi ed avevo notato che la maggior parte degli impiegati fosse inutilmente crudele, come se noi fossimo degli animali piuttosto che delle persone. Ero fortunata di avere Kevin come guardia; non sembrava essere così violento e non mi aveva fatto nulla di male. Beh, non ancora comunque.

Aprii la porta dell'ufficio di Kelsey mentre Kevin rimaneva fuori ad aspettare, fuori dalla vista e dalla portata d'orecchio. "Kelsey, come diavolo faremo ad uscire da qui? Dove si trovano tutte le uscite? Hai una mappa dell'istituto?"

"Hey Kelsey, come stai? Bene, grazie per avermelo chiesto," mi prese in giro.

Le lanciai un'occhiataccia. "E se invece mi chiedessi tu come sto io, Kelsey? Oh, sto benissimo, amo davvero essere una malata mentale in un istituto per criminali, dovresti provare a volte. E' adorabile."

"Stavo solo scherzando," rise Kelsey. "Dai, siediti."

Sospirai e sorrisi debolmente, accomodandomi.

"Di cosa hai bisogno? Di una mappa?"

"Sì, c'è n'è una?" Domandai. Se dovevamo evadere da qui, sapere da dove uscire era ovviamente un buon punto di partenza.

"Forse sì," rispose; la sua espressione sembrava speranzosa. "Potrei provare a prenderne una. Sono certa che ci sia una specie di progetto dell'edificio, qui da qualche parte."

"Grazie," dissi, sperando che riuscisse a sentire, dal tono della mia voce, quanto gliene fossi grata.

"Figurati. Ma potrò dartela solo la prossima settimana, quando verrai di nuovo qui."

Sospirai con meno entusiasmo. "Non potresti darmela prima?" Chiesi il più educatamente possibile. Mi dispiaceva chiederglielo, aveva già fatto molto accettando di aiutarci. Ma ero disperata.

"No." Scosse la testa. "Se hai intenzione di fare questo, intendo davvero fare questo, dovrai mantenerlo segreto. E dico sul serio, non dirlo a nessuno. Non puoi fidarti di nessuno. Perché se lo scoprisse la Signora Hellman, per voi due sarebbe la fine."

Psychotic [h.s.] (Italian translation) *EDITING*Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora