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Terminata quella chiamata, Guido era risalito sulla sua moto ed aveva iniziato a sfrecciare per tutta la costa senza una meta.

Giunto nei pressi della piazza centrale della zona balneare della città, quel posto semi-magico meta di turisti e giovani coppie innamorate, sollevò lo sguardo verso il castello che si ergeva sul promontorio, uno dei luoghi più incantevoli della loro cittadina: vi era una leggenda che aleggiava intorno a quell'antico luogo.

Si raccontava che, il castello, a differenza di tutti i suoi simili sparsi per il mondo, fosse stato costruito su quel promontorio per uno scopo preciso che esulava da qualsiasi intento bellico: era vero sì, che, dal promontorio, era possibile godere della vista del mare e dei possibili nemici da lì provenienti, era altrettanto vero che rendeva facile scorgere ciò che accadeva nel villaggio sino al limitare di quella che, un tempo, era stata solo una fitta boscaglia, sostituita in tempi più recenti con articolate corsie autostradali, ma neanche tutto questo era, sino in fondo, vero: il promontorio non era poi così elevato sul livello del mare da rendere il castello inespugnabile.

Era, difatti, stato costruito lì, solo per amore: si raccontava ancora nel contemporaneo che, un tempo, il primo re che aveva fatto di quel castello la sua abitazione, aveva voluto che venisse costruito in quel punto preciso a causa della sua vicinanza al mare, così, la sua dannata sposa, una bellissima sirena divenuta tale a causa di una maledizione, avrebbe potuto continuare a cantargli il suo amore ogni notte, tra le onde dolci che lambivano i fianchi del promontorio.

Il loro amore era stato separato dal male, ma entrambi avrebbero continuato a lottare per amarsi, in un modo o nell'altro.

Guido sospirò: per lui erano solo cazzate, lo erano sempre state, molto più del solito gli apparvero tali quella mattina.

Si recò direttamente verso il negozietto che faceva ad angolo con la stessa strada scoscesa che conduceva al castello: era aperto, come sempre, un bar H24. Scostò la tendina di plastica e s'inoltrò nella semioscurità del locale: era agghiacciante e quasi inconcepibile che esistesse un locale come quello in un luogo tanto romantico ed affascinante ma, la verità era che gli esseri umani rimanevano degli idioti mossi da istinti primordiali ed animaleschi e niente li divertiva più di un luogo ambiguo e dove si sentissero liberi di fare baldoria portando allo scoperto il peggio di sé, prova era che, nei decenni, il bar era rimasto l'unico esercizio commerciale a non risentire mai delle varie crisi economiche che si erano susseguite nel corso degli anni: ristoranti di lusso, alberghetti, pizzerie e quant'altro avevano sempre, come minimo, cambiato gestione mentre altri erano miseramente falliti, ma quel bar, no.

L'ambiente intorno a Guido si presentò abbastanza scialbo e lurido, si sedette ad uno dei tavolini di legno su una di quelle sedie scricchiolanti che ricordavano da vicino quelle dei film western: quelle che accoglievano l'eroe od il cattivo di turno e che, con quel rumore, ti avvisavano che il tizio stava seduto "scomodo" e presto, qualcosa, sarebbe di certo successo.

Guido alzò gli occhi sul ragazzo che aveva sentito avvicinarsi a lui e rimase sorpreso: il cameriere era un ragazzino poco più che ventenne, con lineamenti del viso delicati e puliti, i suoi occhi erano forse un po' più grandi di quanto sarebbero stati giusti in proporzione alle altre varie parti del viso, ma era un "difetto" che passava subito in secondo piano e che veniva mitigato dalle lunghe ciglia scure che facevano ombra sul cerchietto dell'iride: i suoi occhi, poi, divenivano davvero strabilianti a causa del loro colore, di un blu intenso, come quello dei più vibranti colori a tempera, come quello ch'era il protagonista indiscusso delle opere di Yves Klein.

Ed Yves Klein era, da sempre, l'artista contemporaneo che Guido amava di più.

Fisicamente il ragazzo manifestava ancora i lasciti dell'adolescenza, era delicato ed acerbo, forse un po' troppo basso per i suoi gusti, probabilmente non arrivava al metro e sessantacinque, ma rimaneva delizioso ed... assolutamente fuori luogo in quel postaccio:

-Cosa le porto?- gli domandò e Guido sobbalzò nell'udire la sua voce dal timbro delicato e così incerto.

Immaginò quel luogo all'orario di punta, pieno di schifosi ubriaconi e quel piccolo angelo là in mezzo, una luce tra tanti zoticoni.

E se gli avessero messo le mani addosso? E se gli avessero fatto del male? Chi l'avrebbe difeso in quel piccolo angolo di inferno?

Guido scosse la testa: non si era sentito travolto da tanta preoccupazione neanche per Alessio... cioè, il senso di colpa l'aveva quasi ucciso, si era preoccupato per lui, ma non l'aveva seguito in ospedale.

Poi era andato nel luogo in cui si erano conosciuti poco più di tre anni prima, ma non era andato in ospedale quando Daniele l'aveva chiamato per informarlo della sua situazione clinica.

Poi aveva litigato con Daniele, ma non era corso in ospedale per cercare conforto nell'altro suo compagno e per stargli vicino nel momento del bisogno:

-Portami una birra- disse azzerando di colpo quei strani pensieri:
-Una mezza od una grande?- chiese il ragazzo sempre con quella sua vocina delicata e Guido sentì qualcosa fremere nel suo stomaco, fu un piccolo sussulto, ma lo percepì chiaramente:
-Una grande- rispose:
-Beck's, Heineken, Ceres,...-
-Una vale l'altra- lo interruppe voltandogli le spalle senza dargli il tempo di fargli finire l'elenco delle birre che vendevano.

Il ragazzo si morse il labbro inferiore, lo vide chiaramente riflesso nella porta a vetri, quella antipanico che stava proprio alla sua sinistra: non era molto pulita ma, anche lì, su quella superficie vitrea resa quasi opaca dalla mancanza di pulizia, la figura del ragazzo sembrava risaltare staccandosi da tutto il resto.

Non voleva essere scortese con lui, ma non aveva voglia di essere "cortese" neanche con se stesso, in quel momento.

Non si dava pace: perché non si trovava in ospedale? Perché non era al fianco di Alessio?

Poco dopo il ragazzo gli poggiò il boccale con dentro la birra davanti le braccia che teneva appoggiate sul tavolo, senza dire una parola: Guido fissò la candida schiuma bianca ed il liquido dorato pieno di microscopiche bollicine.

Alessio... non gli aveva creduto. Alle accuse di Daniele: Alessio era corso a picchiarlo sicuro che l'altro stesse dicendo la verità. Neanche per un secondo aveva avuto il dubbio che Daniele mentisse, neanche per un secondo aveva pensato che Guido non li avrebbe mai potuti tradire.

Non avrebbe dovuto spingerlo, certo, non avrebbe neanche potuto prevedere quello che sarebbe successo a quel suo gesto ma... aveva sbagliato, ne era consapevole.

Ma non era il senso di colpa a tenerlo lontano dall'ospedale dove era stato portato il suo compagno: erano la rabbia e la delusione, quelle due bastarde che si erano fatte strada nel suo cuore nel momento stesso in cui aveva capito, anche se non ancora ammesso a se stesso che, entrambi i suoi compagni, gli avevano cucito addosso una colpa solo per scaricare su di lui la responsabilità della fine della loro relazione.

Era finita e Guido l'aveva ormai capito.
Guardò ancora una volta il contenuto del boccale... ed iniziò a bere.

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