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Guido spense la moto, calò il cavalletto con un piede e si sfilò il casco. Rimase qualche secondo immobile osservando l'ingresso della bettola che si spacciava per bar ai piedi del sentiero che conduceva al castello. Si riavviò la cresta con una mano anche se non gli importava granché del suo aspetto in quel momento.

Aveva ricordato tutto di quella mattina: l'ubriacone che si era avventato addosso a Mattia, lui, che a stento riusciva a reggersi in piedi a causa dell'alcol, gli si era lanciato contro scaraventandolo sul pavimento dove quello era rimasto immobile mezzo svenuto.

Mattia che gli regalava il suo primo sorriso dolce e leggermente titubante, lo scambio di battute che erano seguite all'episodio, il suo invito a riaccompagnarlo a casa alla fine del turno per evitare altri spiacevoli incidenti, Mattia che accettava sempre con quel velo di esitazione, le chiacchiere frivole che si erano scambiati davanti la sua moto alla fine del turno del ragazzo, il bacio improvviso e dolcissimo che Mattia gli aveva regalato a fior di labbra per ringraziarlo, la ragione che andava a farsi benedire e subito dopo erano sfrecciati in moto al suo studio dove si erano amati sino in fondo senza tentennamenti, come due naufraghi che si aggrappavano l'un l'altro nel tentativo di non annegare.

Guido sospirò e scese dalla moto, mise il casco nel piccolo portabagagli ed entrò nel bar: venne accolto dalla stessa aria di mediocrità e lordia che caratterizzavano il posto.

Cercò con gli occhi Mattia, tentando di non farsi distrarre dagli avventori del bar e dai loro sguardi di sfida, ricacciò indietro il pensiero di quei luridi occhi addosso al ragazzo che si aggirava per quei tavolini, alle loro sudice mani che lo sfioravano "accidentalmente", reprimendo quel senso di nausea che lo colpiva come un pugno allo stomaco e quella spasmodica voglia di rapirlo e portarlo il più lontano possibile da lì.

Lo intravide poco dopo uscire dal retro con in mano un vassoio con su dei bicchieri che avevano di certo visto giorni migliori.

Mattia non si accorse di lui, camminava a testa china cercando il più possibile di ignorare tutti, captando i segnali dei clienti con la coda dell'occhio nel tentativo di evitare di essere molestato.

Odiava quel posto, odiava quel lavoro, ma suo padre non ne voleva sapere niente di renderlo un luogo diverso da quello che era, ed obbligava suo figlio a lavorarci per assicurare la dinastia di quella bettola: era passata di mano in mano, di generazione in generazione, il suo bisnonno l'aveva lasciata a suo nonno che poi l'aveva donata in eredità a suo padre, lo stesso che prevedeva di fare quest'ultimo con suo figlio, con Mattia, quando sarebbe passato a miglior vita.

Ma il ragazzo non avrebbe mai voluto essere baciato da tale onore, solo che, suo padre, diventava improvvisamente sordo quando si affrontava l'argomento e finiva sempre per travisare le parole del figlio, per rigirarle a proprio piacimento obbligandolo, di fatto, a continuare a camminare per quella strada scoscesa e disastrata che tanto Mattia detestava.

Il ragazzo sospirò passandosi una mano tra i capelli scuri e poggiò il vassoio sul bancone.

-Ciao- si sentì dire e sussultò nel riconoscere la sua voce. Sollevò gli occhi su di lui sentendoli di colpo riempirsi di lacrime: erano passati due giorni da quando l'aveva mollato allo studio con uno dei suoi compagni e, d'allora, non aveva fatto altro che pensare a lui maledicendosi per quel suo modo romantico di sognare la vita quando, la realtà era sempre stata schifosamente diversa.

Non aveva neanche provato a dire di no alle sue lusinghe, alle sue avances, non gli era sembrato vero che, un uomo tanto bello e perfetto, ci provasse con lui.

Si era sentito come una novella Pretty Woman sola e disperata, incastrata all'interno di una vita d'inferno e catapultata di colpo in paradiso dall'uomo dei sogni... almeno, dei suoi sogni.

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