Sei

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La lezione di canto andò molto a rilento l'uno novembre.
Supposi fosse dovuto al fatto che avevo forse dormito tre ore e perciò non riuscivo a trovare interessante gli esercizi della sirena per fare il belting ed oltre a non riuscire a trovare una connessione con l'argomento, non riuscivo nemmeno ad usare la voce di petto per colpire una nota che nella normalità richiedeva la voce di testa.
Sembravo una trombetta stonata.

Grazia di Michele alzò il suo viso ancora tirato.
Aveva probabilmente sessant'anni ma sembrava più giovane di me e sopratutto era estremamente più bella di me.
Le labbra tinte di amaranto e perfettamente definite si incresparono in un accenno di sorriso.
Si passò una mano fra i capelli ramati, "che succede Amen?"
Gli occhialetti rettangolari scesero un po' sul ponte del naso dritto.
Spostai tutto il peso su un piede e per neanche un secondo guardai i muri gialli opaci che contornavano me e la maestra.
"Non ho dormito molto, mi scusi."
Ero abituata a dormire poco ma non ero abituata ad alzarmi così tanto di malumore, non mi succedeva da parecchio e non avrei mai voluto che mi succedesse lì dentro, in una casa piena di gente in cui l'unica cosa che dovevo far bene mi usciva pure male.
"Non sembra solo stanchezza."
Mi sedetti sullo sgabello alto dietro di me e lasciai andare l'asta del microfono facendoci scivolare su i polpastrelli.
Era freddo e liscio.
Guardai negli occhi castani della mia insegnante che sembrava essere interessata solo a me.
Non riuscivo a capire che cosa avesse la gente con me in quelle settimane, non ero abituata a tutte quelle attenzioni e a quella volontà di capirmi. Non mi succedeva mai e non sapevo come comportarmi e da ignorante tendevo a chiudermi ed arrabbiarmi.
Ma respirai e tentai di prendere il controllo delle mie reazioni.
"Non lo so neanche io, mi sono alzata proprio-" da me si diceva con il culo scoperto ma supposi di non poterlo dire davanti alla Di Michele, "con il piede sbagliato" aggiustai il tiro, "e quando mi succede di solito mi ritiro in casa mia da sola. Qua non posso e questa cosa mi fa uscire di testa."
Grazia si aggiustò il foulard verde di seta sulle spalle coperte dal maglioncino nero e non riuscì a non notare quanto lei fosse bella ed elegante mentre io rannicchiata su quello sgabello vestita tutta oversize e con i capelli scompigliati sembravo una presa dalle strade.
"Perché credi di non potere?"
Perché facevano tutti solo delle domande? Da quando il mondo aveva conseguito la laurea in psicologia? E perché sembrava che tutti avessero frequentato la stessa università?
Respira, mi dissi da sola, stai di nuovo giudicando tutti perché ti senti giudicata, non è un comportamento da persone con mente aperta a quale aspiri.
"Perché siamo in venti in una casetta, sempre monitorati e circondati da telecamere, qualsiasi cosa io dica potrebbe essere sentita da milioni di persone e non so quanto io sia pronta a essere così...nuda davanti a tutti" e mentre lo dicevo mi rendevo conto di quanto in realtà io stessi facendo il contrario di quello di cui dicevo di avere timore, ero ridicola.
Sospirai, "neanche io mi conosco davvero e onestamente non sono pronta a farmi conoscere da qualcuno. Ma intendere conoscere davvero."
Rantolai parole senza senso perché neanche io sapevo spiegare quello che passava nella mia testa.
Succedevano delle cose dentro di me ma esternarle mi era impossibile e partivo sempre dall'idea che nessuno avrebbe mai potuto capirmi e non perché credevo di essere un esserino speciale incomprensibile ma perché ero così incasinata da non riuscire a districarmi manco io che con me ci convivevo ogni giorno.
"Pensi che se ti conoscessero davvero, sarebbero spaventati da te?"
Ci pensai qualche secondo.
Annuì.
Avevo anche paura di essere lasciata da sola perché diversa ma quello evitai di dirlo, andava bene essere presa per l'essere demoniaco che terrorizzava la gente ma non per la ragazzina timorosa di essere esclusa.
Io dovevo sembrare quella forte a cui non importava, così mi sarei protetta.

Alle sei tornai in casetta, insieme al buio che ormai calava già dalle cinque e ad una sigaretta.
Stavo fumando troppo.
Mi trascinai sulle scale bianche dell'entrata, sorpassai il cancelletto ed il giardino e salutai tutti i presenti nel patio che seduti o in piedi fumavano e parlavano.
Mi fermai con loro così da poter finire la sigaretta e intromettermi un pochino nella loro vita. Avevo bisogno di drama altrui per riprendermi.
Simone era seduto sulla panca, di fianco a lui Nicholas, entrambi fumavano dalla loro iqos grigia e si lamentavano di qualche compito che gli era stato dato in giornata.
Gaia parlava con Marisol dello stesso soggetto degli altri due, ergo un compito, ma diverso.
Io rimasi lì in mezzo alle due fazioni, poggiata alla trave che finiva fin sotto al tetto ad ascoltare tutti e nessuno mentre continuavo a fumare.
"Vi han dato dei compiti?" Chiesi per far parte di qualche discorso.
Qualsiasi andava bene, dovevo distrarmi.
Nico puntò il ciuffetto castano e alto verso di me e i suoi occhi dello stesso colore finirono su di me.
Sembrava triste o forse solo arrendevole.
"Lo stesso compito che ha dato a Kumo di neoclassico. A quanto pare questa cosa aiuterà anche a me a migliorare. O ad affossarmi."
Feci un grosso tiro dalla sigaretta e continuai ad ascoltarlo.
Lui e la Celentano si odiavano o meglio, lui odiava lei, lei portava avanti la sua idea di danza e di alunno che aveva avuto sin dalla prima edizione.
"Tanto ormai, una figura di merda in più o in meno non cambia."
Sbarrai gli occhi e feci una piccola corsetta per arrivare di fronte a lui, "lo sai che alla Cele da fastidio questo atteggiamento" bisbigliai, "se vuoi evitare altri compiti, fai questo e fattelo andare bene per quanto per te sia ingiusto. Alla fine siamo qua per imparare, prendi quello che ti viene dato e usalo come metodo di studio. Più fai così più vieni messo in cattiva luce" sussurrai l'ultima parte per cercare di non farmi sentire ma con il microfono sempre attaccato al mio corpo era un po' impossibile.
L'atteggiamento di Nicholas era comprensibile, si sentiva sempre sbattuto al muro, ogni volta che faceva qualcosa la Celentano era in grado di dirgli o trovare qualcosa di negativo, doveva essere frustante e a livello umano avrei voluto abbracciarlo ma in quella scuola le cose funzionavano così, se eri pronto andavi avanti, altrimenti no e io non ne capivo nulla di danza ma pareva che lui non facesse parte di quelli "pronti" e lei voleva farglielo e farlo capire in tutti i modi.
L'unica cosa da fare per farla ricredere era provare e riprovare, non aveva senso solo rispondere alla maestra, tanto non serviva a nulla, lei non avrebbe cambiato idea perché un ragazzino si sentiva alle strette.
Mi piegai sulle ginocchia di fronte a lui e gli posai una mano sulla sua di ginocchia.
"Sono stanco però."
Accarezzai il tessuto della sua tuta bianca, "non posso immaginare quanto sia frustante sentirsi sempre dire che non si è abbastanza" alla fine io in quella scuola per la mia voce ero sempre stata applaudita, avevo preso più provvedimenti degli altri le prime settimane perché dovevo comprendere bene le regole dalla casa ma non venivo messa in dubbio ogni volta che aprivo la bocca per cantare "ma l'unica cosa che ti rimane qui è fare quello che ti viene chiesto e cercare di farlo al meglio."
"Ha ragione Am, non c'è altro modo di affrontare questo percorso" mi venne in soccorso Simone che si alzò dalla panca e io con lui.
Avevo bisogno di farmi una doccia.
Tesi la mano verso Nicholas che la prese per alzarsi e in un gesto veloce mi mise il braccio intorno alle spalle, con le nostre mani sempre connesse.
"Grazie amò" mi lasciò un bacio fra i capelli e ci voltammo entrambi verso la porta.
Nella rotazione notai Mida con Gaia e Sofia, non avevo idea che fosse lì e non sapevo neanche da quanto fosse arrivato ma i suoi occhi tondi si impiantarono nei miei.
Feci rompere il contatto visivo ed entrai in casa.

Paris Latino - Mida Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora