Capitolo Undici Parte Terza 🔴🟠

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Lo stormire del vento fischiava tra i ramoscelli inclinati degli alberi, facendosi strada violento tra le vie ormai vuote di Mahnattan.
La pioggia, con le sue gocce fredde e trasparenti, si univa alla folata d'aria in quella danza lasciva e furiosa, seguendo la scia di quel canto invisibile ma spietato. Le foglie bagnate, dai colori scuri e smorti, venivano trasportate via insieme ai granelli di terra umida e ai piccoli sassolini, in quell'improvviso temporale che ruggiva furente da ore. Il cielo scuro, dalla tonalità blu navy, veniva illuminato di volta in volta dai repentini lampi, i quali nella loro limitata chiarezza, irrompevano nella completa oscurità di quella tela nera e senza fine. Come roghi spinosi e rami appuntiti, i fulmini si diramavano in quella notte cupa e inopinata, andando a dilaniare con irregolarità quel dipinto che rappresentante il puro caos.

L'incarnazione selvaggia dell' anarchia che, irrefrenabile, poteva piegarsi solo sotto la parola di Dio.

Nel buio denso della Suite, permeato soltanto dalle pallide scintille di luce che si insinuavano tra le tende scoscese, un corpo seminudo giaceva inginocchiato per terra. I suoi polsi erano stretti dietro la sua schiena, legati da delle corde spesse e ruvide, mentre una benda nera gli copriva gli occhi, privandolo della vista. Il bagliore rosso di un abat-jour proiettava ombre sinistre sulle pareti, rivestite da della carta color champagne.

Il suo ansito affannoso echeggiava nel silenzio discontinuo, franto esclusivamente dal frastuono della tempesta all'esterno.

Il suo petto si sollevava e abbassava in modo frenetico, il cuore batteva efferato nella sua cassa toracica; il fatto che non avesse ancora trapassato il torace gli sembrava quasi un miracolo.

Perle di sudore si formavano sulla sua fronte, scivolavano lungo le tempie e finivano sui pettorali scolpiti, creando piccole pozze di umidità sulla pelle tesa.

Il suono delle frustate sulla sua schiena si mescolava con il tintinnio delle catene che gli trattenevano la gola. Ogni colpo lasciava un'impronta cruenta sulla sua epidermide lacerata e imbrattata di liquido viscoso.

Ogni frustata sprigionava un lamento umido, rigurgitante della più oscura tribolazione.

«Basta», mormorò l'uomo, in un'intonazione colma di sgomento. Si mise in guardia alla ricerca del più esile fragore, un segnale esplicito che velasse la posizione esatta del suo aguzzino.

Il pavimento, dalle mattonelle dure e fredde, aguzzava la sensazione di sofferenza sotto le sue rotule, la superficie liscia e inospitale amplificava ogni scossa di godimento che si estendeva lungo la sua colonna vertebrale coperta di tatuaggi.

Un ansimo pesante fuoriuscì dalla sua bocca, una supplica silente che implorava la fine di quel supplizio. O meglio, di portarlo all'acme di quel sadico piacere.

La Singletail lacrimava l'aria; la sua punta aveva iniziato a tracciare un percorso tortuoso sul derma sensibile della figura prostrata sulle mattonelle di marmo. La striscia di cuoio gli accarezzò dapprima la nuca e le spalle, per poi cambiare visuale e lambire la sua gola in una blandizia crudele.

«Slegami», sussurrò la sua voce rauca e tremante, mentre la stria libidinosa della frusta proseguiva sul suo torso, tra i muscoli tesi e gonfi, lasciando dietro di sé un solco di eccitazione sulla sua carne bollente.

«Ti prego», pronunciò di nuovo, ormai al limite della sopportazione, non appena lo scudiscio iniziò a scorrere fino a raggiungergli il ventre e perdersi tra le curve toniche dei suoi addominali, alimentando il fuoco della bramosia che ardeva dentro di lui.

L'altra presenza sogghignò compiaciuta, e muovendosi nell'ombra, si avvicinò alla sua figura. «Non sei stato tu a pregarmi di tutto questo? E adesso pretendi già che ti liberi? Magari se me lo chiedessi ancora potrei cambiare idea.»

ObsessionWhere stories live. Discover now