Capitolo Undici Parte Seconda

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Il viaggio durò più di quaranta minuti a causa del gremito traffico. 

L'insegna fucsia dell'Autos Elysium illuminava con facilità un arco di quattrocento metri. Le Lamborghini e le Maserati esposte nella vetrata scintillavano sotto i neon rosa e viola; ogni dettaglio della loro carrozzeria dinamica e sinuosa luccicava sotto la vista di tutti. 

Un sogno irraggiungibile per molti. 

L'autista procedette verso l'autorimessa privata dell'Autos Elysium, una concessionaria lussuosa e tutt'altro che discreta. Il buio del tunnel veniva tagliato solo dalla guida dei fari accesi. Il rumore dei pneumatici che scorrevano sull'asfalto risuonava contro le pareti nude, mentre l'eco di una musica latina iniziava a riempire con energia il traforo. La puzza di cuoio e del metallo lucido si infiltrarono nell'immediato nelle frogie dei presenti. 

Eris storse il naso dalla puzza. Si lasciò scappare un ghigno divertito nel sentire Judas borbogliare qualcosa di incomprensibile; afferrò la sua borsa ed estrasse uno spray nasale al mentolo. Poi, nascondendosi dietro a un'ammiccata malandrina, glielo passò e sussurrò con malizia: «Sia mai che la mia bambina mi vomita sui sedili.»

Il partner la fulminò con lo sguardo e le fece il dito medio, ma si affrettò comunque a spruzzarsi la sostanza profumata nelle narici. 

Ruben si fermò davanti al garage imbrattato da un vivace disegno di Street Art. Spense il motore, e insieme ai suoi rais, scese dalla macchina. Un bodyguard dalla pelle olivastra, robusto e tatuato fino ai gomiti, con i muscoli in mostra sotto la T-shirt arancione, si poneva minaccioso davanti all'entrata d'acciaio. Appena lì vide arrivare, raddrizzò il dorso, vigile. Ma non si mosse, rimase muto come ragno, in attesa di un comando.

Eris assottigliò le palpebre e, innervosita dal caldo benvenuto, lo canzonò: «Cosa vuoi che ti dica, Cabròn? ¿Ábrete Sésamo?»

I suoi accompagnatori risero sotto i baffi. L'ometto dalle treccine nere sussultò e si diede una mossa ad aprire la serranda, che si sollevò con un cigolio meccanico, rivelando una stanza sobria avviluppata dalle ripercussioni incalzanti della rumba e dal fumo compatto del crack.

Donne seminude si muovevano euforiche tra divani di velluto e tavoli imbanditi di alcol e droga.

Al centro della sala, seduto su una poltrona grigio ardesia, si trovava Venegas, circondato da due ragazze dalle sagome formose e dalle movenze provocanti. Ma non appena Eris fece il suo ingresso, valicando la soglia sotto le luci fosforescenti della sua dimora, vennero malamente scostate.

Ogniqualvolta quella donna faceva la sua entrata, come su un palcoscenico, il mondo intorno a lui svaniva ingoiato dal suo carisma. Contro il suo desiderio, non faceva altro che avere occhi solo per lei. 

«Mi dulce amapola azul. ¿Cómo estás? Vieni, siediti aquì, vicino a mì», gridò Venegas, con la voce impastata dall'effetto della marijuana, mentre batteva con le dita sui cuscinetti morbidi del sofà. 

Eris sbuffò in silenzio; continuava a sbrogliarsi tra la calca sudata e infoiata delle persone che festeggiavano.

Con lo sguardo impassibile di un lupo nero immerso nella nebbia, scrutava il candido gregge del quale faceva parte.

Se avesse potuto, le avrebbe sbranate tutte, quelle pecore.

Nel frattempo, una spogliarellista bruna si era avvicianata a Judas. Premendo con i suoi prosperosi seni scoperti sul suo petto, si alzò sulle punte dei piedi e gli sussurrò persuasiva: «Lasciamoli da soli. Ven conmigo», poi si umettò le labbra carnose, tinte di lucidalabbra, e gli accarezzò il sesso protetto dai pantaloni scuri, iniziando a slacciargli la cintura. 

ObsessionWhere stories live. Discover now