4. Colpito e affondato

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«Che ci fai tu qui?! Vuoi portargli sfortuna?! Vattene! Domani è il grande giorno per il mio Reymond, e quindi tu gli devi stare alla larga».

Tra una parola e l'altra, l'uomo gli calò addosso ripetuti colpi, ma sempre senza andare a segno: Evander era allenato a schivare calci e pugni alla perfezione, con tutte le volte che i ragazzi del villaggio si erano divertiti a sue spese.
Per non parlare delle lezioni di Jonathan, il quale gli aveva insegnato tutti gli stili esistenti di combattimento. Come se a Evander il fatto di conoscere ben dodici mosse diverse per colpire la giugulare di un avversario potesse mai tornare utile contro un contadino grosso, lento e ubriaco.

Erano passate settimane dall'ultima volta che Evander aveva parlato con il padre di Reymond e il puzzo di alcool che emanava dalla sua bocca si era attenuato: le parole di Jonathan all'ospedale dovevano aver colpito nel segno.

Se quell'uomo era convinto che la sua visita avrebbe portato sfortuna a Rey per il "gran giorno", allora Evander aveva un motivo in più per andare dal suo amico.

Ma, per quanto cercasse di sgusciare dietro la porta, non ci riusciva: il  vano di ingresso era piccolo, e l'uomo che lo ostruiva enorme. Basso e tarchiato, occupava tutto lo spazio disponibile sulla soglia.
«Rudolf!» urlò una voce di donna.
L'uomo, che un attimo prima sembrava un gigante, parve farsi piccolo come un nano.
«Hai bevuto di nuovo, non è vero?!» continuò la donna: sbraitava per la rabbia e, nel frattempo, cullava il bambino che le dormiva tra le braccia.
Il suo volto appassito comparve dietro Rudolf, mentre questi si girava lentamente verso di lei con sguardo innocente:
«No! Non ho bevuto, Miranda! Te lo giuro!».
«Ah sì? E allora questa cos'è?!» disse la donna sventolandogli sotto il naso una bottiglia di rum vuota.

Rudolf diede le spalle a Evander e quest'ultimo, silenzioso, gli sgusciò da sotto l'ascella per entrare in casa. Mentre si infilava nella stanza di Rey, gli parve di vedere la donna fargli un occhiolino sorridente.
Si richiuse la porta alle spalle, mentre Rudolf mugolava: «Non è mia! Ce l'ha messa qualcun altro!».

Non appena si ritrovò nella stanza dell'amico, Evander sospirò di sollievo.

Ma il sollievo durò poco: un freccetta appuntita si conficcò sibilando sulla porta, a qualche centimetro dal suo orecchio.

Il ragazzo si scansò di lato con un'esclamazione di spavento, e si girò verso il punto da cui era stata scagliata, urlando: «Diavolo, Rey! Per poco non mi bucavi un...!».
Appena i suoi occhi misero a fuoco la scena esilarante che gli si dipingeva davanti, le parole gli morirono sulla punta della lingua, sostituite da una gran risata.
«...Occhio» concluse, quando si fu calmato: «Ma che stai facendo?!».

Reymond era appeso a testa in giù e dondolava dal soffitto come il pendolo di un orologio. Aveva una benda attorno agli occhi, reggeva in una mano un set di nove freccette e con l'altra si preparava a lanciare la decima.
Sentendo la voce di Evander, si era fermato in tempo per non scagliargliela addosso.
«Evander? Sei tu?».

«Sì, che sono io! Quindi, vedi di conservare le tue freccette per un bersaglio migliore di me!».

«Scusa! Non ti avevo sentito entrare».

Evander si guardò attorno e vide che, inchiodato al muro dietro di lui a mezzo metro dalla porta, c'era il bersaglio rotondo, con i suoi vari anelli concentrici rossi e verdi. Non una freccetta lo aveva colpito, ma cinque erano cosparse per il resto della stanza: una conficcata sulla porta, una sul divano, una a terra, una aveva quasi bucato la finestra, e l'ultima aveva bucato un occhio alla testa impagliata del lupo, che Rudolf aveva insistito ad appendere in camera del figlio come trofeo, e che Evander gli aveva lasciato più che volentieri.

Triplania- il predestinatoWhere stories live. Discover now