13. Le porte di metallo

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«Siamo arrivati».
Evander voltò di scatto lo sguardo fuori dal finestrino, ma vide soltanto una nebbia di fumo che si alzava da terra e vorticava nell'aria. Non voleva aspettare che quella nebbia si depositasse al suolo per vedere il luogo che da quel momento avrebbe chiamato "casa".
Certo, sempre che fosse riuscito a superare i test d'ammissione.

Si alzò in piedi e si lanciò verso la portiera.
Osservando la sua impazienza, Kaleb sorrise divertito:
«Le Porte di Metallo sono là fuori, proprio di fronte a te. Sono certo che mio fratello voleva che tu le vedessi, altrimenti non mi avrebbe mandato il tuo ritratto».
Evander non capì il significato di quelle parole, e neppure si domandò che cosa volessero dire: la sua mente, i suoi sensi, il suo cuore erano tutti occupati a inebriarsi di quella esperienza. Le gigantesche porte di metallo erano aperte di fronte a lui, ad un centinaio di metri. Riflettevano la luce, come specchi. Presto le avrebbe varcate per entrare nella famosa Accademia Aeronavale di Tridia.

L'accademia era un edificio esteso, circondato da un campo di dimensioni infinite, con le spalle appoggiate a una montagna immersa nella Notte Verde, che terminava in una punta bianca di neve: il Nido delle Aquile.
L'edificio era più largo che alto, qua e là si vedevano torri con ampi osservatori e hangar bassi e larghi. I rampicanti crescevano ovunque in un'atmosfera selvatica ed affascinante. Gli alberi toccavano le vetrate e la natura sembrava dare tutto il meglio di sé, in perfetta armonia con la struttura che vi cresceva nel mezzo. Una luce bassa e orizzontale si spargeva dappertutto, come una leggera foschia ambrata che confondeva i confini fra le cose, facendole apparire come immerse in una nuvola d'acqua.
Era proprio così che se l'era immaginata.
Né più bella, né meno.
Era il suo sogno che prendeva forma e colore di fronte a lui.

Evander aveva occhi solo per le Porte di Metallo e per ciò che vi intravedeva all'interno, così non si rese conto che anche Kaleb era sceso dallo shuttle ed era in piedi accanto a lui.
«È bella, non è vero?» disse Kaleb, e i suoi occhi e il suo sorriso mentre pronunciava quelle parole riflettevano lo spettacolo che si apriva di fronte a loro.
Da come lo disse, Evander pensò che anche Kaleb fosse attirato da quella vista da un profondo amore per le astronavi spaziali.
«Perfetta» rispose, poi abbassò lo sguardo: «Ma forse non è il mio destino che io varchi quelle porte. Jonathan non avrebbe voluto che io facessi domanda all'accademia, aveva altri piani per me».

Con lo sguardo dritto di fronte a sé, Kaleb scosse la testa lentamente, pensieroso. Poi, disse:
«Forse una cosa non esclude l'altra. Sei giovane, e hai parecchie possibilità di formazione davanti a te. Seguire strade sbagliate può essere formativo tanto quanto seguire sempre quelle giuste, se non di più».
Evander si voltò sorpreso: «È vero, avete ragione! Forse una cosa non esclude l'altra!» disse. Poi aggiunse: «Non ancora, almeno».

«Allora, Evander, gli esami di ammissione saranno domani mattina all'alba. Nel frattempo, dove pensi di passare la notte? Nelle stanze comuni dell'accademia?».
Vi erano, infatti, delle sale dove coloro che arrivavano da lontano potevano trascorrere la notte. Erano riservate agli aspiranti cadetti più poveri: i figli dei nobili avevano stanze appositamente preparate per loro nell'ala sud.
Evander lo guardò di traverso: «Ho avuto esperienze peggiori» disse, con un sorriso ironico.
Kaleb sembrò piuttosto contrariato.
«Tuo padre ti ha raccomandato a me, e io vorrei che tu mi lasciassi fare quanto mi è stato chiesto. Posso farti avere una stanza privata. Così non sarai costretto a vivere come un contadino fra contadini».
«Non voglio attirare l'attenzione. Non preoccupatevi: ho vissuto da contadino fra contadini fino ad ora: alla sorte non chiedo un letto comodo e un po' di silenzio, ma l'opportunità di scegliere cosa fare della mia vita. Grazie per l'offerta, ma non mi interessa quello che Jonathan vi ha scritto. Posso cavarmela da solo».
«Non ti interessa?!» chiese Kaleb, molto sorpreso di sentirlo parlare così.
«No. Per quanto fosse l'uomo più straordinario che io abbia mai conosciuto, neppure Jonathan era infallibile» disse Evander, tornando a guardare le porte di metallo.
«Se questa è la tua scelta, la rispetterò».
Evander rimase un po' sorpreso, a quelle parole. Dopo qualche secondo, annuì a sé stesso: «È vero! Ho scelto».
«Allora arrivederci, ragazzo. Presto ci rivedremo» disse Kaleb e si allontanò.
Rimasto solo, Evander si sentì improvvisamente stanco e terribilmente affamato. Non aveva dormito nulla da più di ventiquattro ore e non aveva mangiato da almeno dodici.

Triplania- il predestinatoWhere stories live. Discover now