7. Incubo ricorrente

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Constance era molto in ansia: quelle continue sparizioni da parte di Evander la preoccupavano.

Fino a quel giorno non aveva voluto rivelare a Jonathan il proprio sospetto, anche perché sperava ancora di sbagliarsi.
Ma ormai non riusciva più a mettere a tacere la sensazione che Evander si inoltrasse quotidianamente nella Notte Verde rischiando la vita. 

Non avrebbe saputo dire come lo sapeva: lo sentiva e basta.
D'altronde, in quale altro luogo avrebbe potuto andare quel ragazzo?
Da quando Reymond era stato portato via, Evander non era affatto ben visto in paese. Ogni volta che tornava dal villaggio, portava i segni della frutta marcia che gli lanciavano addosso. Si trattava per lo più di bambini, che sfogavano contro quel capro espiatorio la propria rabbia repressa nei confronti dei genitori che li trascuravano.
Ma Evander ne soffriva e, di conseguenza, aveva preso a evitare il villaggio il più possibile.

Tranne per quelle sparizioni giornaliere, Evander si chiudeva nella stanza dei libri, oppure lavorava nei campi. Ed era sempre più taciturno e triste. Sembrava che, invece di vivere, tentasse solamente di sopravvivere: non parlava se non quando necessario, mangiava il minimo indispensabile, lavorava senza sosta, studiava fino ad addormentarsi sui libri.

Constance era sempre più preoccupata.
Angosciata da quel che vedeva, il suo istinto materno non aveva difficoltà a farle intuire che Evander era in pericolo di vita.

Si era resa conto, infatti, dalle poche sillabe pronunciate da Evander a cena, che ciò che lo tormentava di più era il senso di colpa: Evander credeva che gli endar avessero preso Reymond per colpa sua, perché questo era ciò che gli aveva detto la gente del villaggio. Il suo cuore era stretto nella morsa del senso di colpa del sopravvissuto. E come si combatte il senso di colpa del sopravvissuto, se non cercando la morte?

Alla fine, Constance lo aveva detto a Jonathan.
Quest'ultimo era rimasto sorpreso, ma non aveva dubitato neppure un istante delle parole di sua moglie.

Jonathan prese una decisione: quando Evander fosse uscito, lui lo avrebbe seguito. Ancora non sapeva cosa gli avrebbe detto, ma avrebbe trovato il modo di riportarlo alla ragione.

Constance annuì: «Sì. É l'unica cosa da fare. Ma cerca di essere comprensivo. Ah, e portagli qualcosa da mangiare. Quel ragazzo sta facendo la fame...».

Nel dir così, Constance, con le lacrime agli occhi, andò a preparare un cestino, dove mise dentro due ciotole di minestra, due tozzi di pane e una bottiglia d'acqua. Era tutto ciò che aveva a disposizione.

Quando lei gli porse il cestino, Jonathan scosse la testa, sorridendo: «Constance, pensi davvero che potremmo fare un pic-nic nella foresta, come se nulla fosse?».

Lei alzò le spalle: «Non si sa mai. Pur di farlo mangiare qualcosa...».
Non finì la frase.

Jonathan comprese che quello era il  suo modo di far capire a Evander che era preoccupata per lui. Prese il cestino.

Per Jonathan seguire Evander senza farsi scorgere fu una passeggiata: il  ragazzo sembrava aver alzato attorno a sé una barriera che lo rendeva sordo e cieco a tutto ciò che gli stava attorno. Era come se vivesse dentro una bolla di sapone, in un mondo tutto suo. I suoi sensi erano rattrappiti, inefficaci.

Giunsero ai piedi della foresta e, proprio come aveva detto Constance,  Jonathan vide Evander entrare fra le fronde scure della Notte Verde senza alcun indugio, proprio come se non si rendesse neppure conto delle proprie azioni.

Jonathan lo seguì in silenzio, provando una serie di emozioni contrastanti: era arrabbiato, dispiaciuto e preoccupato.

Finalmente, Evander si fermò e si sedette a gambe incrociate, fissando il vuoto dritto di fronte a sé in silenzio.

Triplania- il predestinatoWhere stories live. Discover now